È approdato tra i professionisti tardi, a 27 anni. Colpa della vecchia normativa che teneva legati i giovani calciatori alla società proprietaria del cartellino del ragazzo. Altrimenti, chissà, forse avrebbe vestito la maglia rossoblù del Cagliari allenato da Mazzone. Così Riccardo Illario, ora cinquantenne, dopo tanti campionati regionali ha spiccato il volo giocando in serie C2 con Catanzaro e Cavese, per poi raggiungere la C1 con le maglie storiche di Livorno e soprattutto Palermo.

"Giocare al Barbera è stato emozionante. Indimenticabile", dice il cagliaritano oggi rappresentante nel settore di prodotti alimentari. Tanti i ricordi belli. E anche qualcuno brutto: come quella volta che dopo un playoff perso all'ultima giornata è dovuto scappare per evitare di essere linciato, insieme ai compagni, dai tifosi della Cavese, la sua squadra.

Aver giocato a certi livelli soltanto a 27 anni è un rimpianto?

"Sono soddisfatto della mia carriera. Certo aver raggiunto il professionismo un po' tardi, per colpa della vecchia normativa sui tesseramenti, dispiace".

Ha avuto delle occasioni che non ha potuto sfruttare?

"Da giovane sono andato una settimana alla Torres in prova. Poi ho trascorso un periodo a Tempio: doveva disputare la serie C2, ero ospite in casa di Gigi Piras insieme a Nicola Ruggeri. Non se ne fece nulla: la società proprietaria del mio cartellino sparò certamente cifre elevate. Dunque persi il treno".

Anche il Cagliari di Mazzone si interessò a lei?

"Ho avuto una possibilità. Con l'Iglesias disputavamo diverse amichevoli con il Cagliari. Io mi sono messo in mostra: ho segnato anche un gran gol ad Abate. Mi hanno scelto per l'anno successivo: sarei dovuto andare a fare la preparazione con il Cagliari ma Mazzone passò alla Roma. E sono rimasto dove ero".

Il professionismo è arrivato tardi: ma dove ha iniziato a giocare Illario?

"In cortile, sotto casa. Mio padre faceva canottaggio ma io ho sempre e solo visto il pallone. Una passione fortissima fin da piccolo. Poi dall'asfalto delle strade sono passato alla scuola calcio Gigi Riva e poi al Cagliari, in viale Poetto: ho giocato dalla categoria dei giovanissimi fino alla Primavera. Poi il passaggio all'Iglesias".

Cosa le ha dato il calcio?

"Tantissimo. Non vedevo altro. E crescendo mi ha permesso di conoscere tante persone anche in ambito lavorativo. E poi mi ha insegnato il rispetto delle regole, delle persone e dei ruoli".

Compagni diventati amici?

"Molti sì. Mi sento spesso, anche grazie ai social, con miei compagni di quasi trent'anni fa. Un esempio: Dino Di Iulio. Giocavamo insieme nel Catanzaro. Siamo diventati grandi amici".

E gli allenatori?

"Da giocatore è tutto diverso. Quando uno non ti fa giocare lo ritieni incompetente. Adesso invece so che fanno, o cercano di fare, il bene della squadra. Oggi ho ancora un forte legame con Massimo Murgia: allenava il Palermo e mi ha voluto dopo avermi visto in una partita Pisa-Livorno. E poi Bernardo Mereu, quando era alla Villacidrese".

Pochi anni da professionista. Ma ha sempre lavorato o quasi?

"Solo gli anni da professionista non ho lavorato. Ma ho sempre avuto la consapevolezza che il calcio prima o poi finisce e tu devi andare avanti con un lavoro. Soprattutto da dilettante perché il pallone non ti dà da vivere se non a certi livelli".

Il calcio è cambiato?

"Penso sia cambiata la cultura. Prima c'era più passione e professionalità. Oggi si sono troppi interessi anche in categorie come la Lega Pro. Prima con c'erano procuratori, o comunque erano pochissimi. Oggi sono troppi e sono croce e delizia dei giocatori".

Uno dei ricordi più belli?

"Forse l'esordio tra i professioni in C2: un Catanzaro-Matera nel 1996 in uno stadio con diecimila spettatori. Una realtà incredibile: i tifosi seguivano anche gli allenamenti. Nello scontro diretto per salire in C1 contro la Battipagliese c'erano 18 mila spettatori. Un pareggio, con un rigore sbagliato, e sono saliti di categoria loro".

L'esperienza più brutta?

"Forse a Cava dei Tirreni, l'ultima partita di campionato con la maglia della Cavese. Contro il Trapani non abbiamo vinto, perdendo così l'accesso ai playoff. I nostri tifosi non la presero bene. Entrano in campo: alcuni incappucciati ci aggredirono. Anche io presi un calcio in pancia: non ho pensato a nulla, se non a correre per mettermi in salvo".

Un campionato indimenticabile?

"La vittoria del campionato di Eccellenza con l'Iglesias. Eravamo una squadra fortissima. È stata una bellissima marcia trionfale. In quella squadra giocava gente come Giannoni, Martinez, Napoli, Marras, Bortolini, Corsini, Valluzzi, Sanna, Piras. L'allenatore era Alberto Basciu".

Cancellerebbe qualche stagione?

"No. Le rigiocherei tutte. Non si può vince sempre. E tutte le esperienza ti fanno crescere. Sono sempre stato una testa dura e affrontavo ogni ostacolo per andare avanti. Sono contento che mio figlio Gianluigi abbia preso questa caratteristica da me: anche lui è uno che lotta sempre".

L'avversario più complicato da marcare?

"Bombardini. Era al Benevento: si capiva che era di un altro livello. Usava il destro e il sinistro allo stesso modo. Poi è arrivato alla Roma".

Tra i compagni che ha avuto c'è chi ha raggiunto la serie A?

"Direi proprio. Igor Protti su tutti, mio compagno al Livorno. E poi Bortolazzi, Carruezzo, che era già stato al Cagliari. E poi Taccola, quando eravamo al Palermo. E ancora, Dario Dainelli alla Cavese. Ci sono poi ex compagni diventati allenatori. Martusciello, con me al Palermo, ora è secondo di Sarri alla Juventus, e Lazzini, quando eravamo al Catanzaro, fino a poco tempo fa secondo di Andreazzoli al Genoa".

Lo stadio che ricorda con nostalgia?

"Ovviamente il Barbera di Palermo. Uno stadio senza pista di atletica: avevi i tifosi accanto. In un Palermo-Arezzo, con i toscani allenati da Cosmi, c'erano 15 mila spettatori".

Quali personaggi del mondo del calcio ha conosciuto?

"Tra i più famosi, Spinelli: è stato mio presidente al Livorno. Un grande dirigente che conosceva il calcio molto bene. E poi Spartaco Landini direttore sportivo al Livorno: durante un allenamento mi confidò che Cellino aveva parlato molto bene di me".

Il calcio sardo può crescere?

"Per farlo ci dovrebbe essere una maggiore sinergia con il Cagliari e l'Olbia, dunque con le società del calcio professionistico. I possibili giocatori da serie A possono uscire solo facendo esperienza nel Cagliari e nell'Olbia. Servirebbe una rete di osservatori competenti in grado di dare un'occasione ai giovani sardi".

LA SCHEDA

Nome: Riccardo

Cognome: Illario

Età: 50

Luogo di nascita: Cagliari

Dove ha vissuto: Cagliari, Catanzaro, Cava dei Tirreni, Livorno, Palermo, Quartu

Dove vive ora: Quartucciu

Squadre in cui ha giocato: Cagliari, Fersulcis, Decimoputzu, Iglesias, Catanzaro, Cavese, Livorno, Palermo, Villacidrese, Arbus, Sinnai, Quartu 2000, Quartu Sant'Elena, Fulgor Senorbì

Lavori fatti: Rappresentante nel settore alimentare

Lavoro attuale: Rappresentante nel settore alimentare

Squadra preferita: Cagliari

Calciatore preferito: Falcao

Matteo Vercelli

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