«Troia infame».

Insulto grave, gratuito, pesantissimo e senza alcun senso.

La tendenza maledetta del momento contagia anche un cestista dell'Academy Hertz di Cagliari, campionato italiano di Serie A2, mica il minibasket.

Andrea Rovatti, 22 anni e mezzo, emiliano, quasi due metri per 95 chili, il suo ruolo è "guardia", apre la pagina Instagram della giornalista Selvaggia Lucarelli e le scarica addosso due paroline non proprio di augurio.

A lei, che combatte giorno dopo giorno contro insultatori virali, gente che utilizza i social per odiare, la feccia del web, i suoi collaboratori segnalano che l'insulto arriva da un cestista professionista.

La Lucarelli posta sulla sua pagina Instagram (con 601 mila follower) lo screenshot, l'immagine dell'insulto firmato da Rovatti - nickname yvessaintrovat - e la botta arriva forte e diretta.

Perché nel giro di pochi minuti, il presidente della società, Giovanni Zucca, decide per la sospensione del giocatore: «La Hertz Cagliari Dinamo Academy si dissocia fermamente dalla condotta dell'atleta Andrea Rovatti e si scusa a nome di tutta la società e della squadra con la giornalista Selvaggia Lucarelli, per un'azione inaccettabile», si legge nella nota, «il club è totalmente estraneo e l'autore si assume piena responsabilità personale»".

Non solo: «L'atleta è stato messo fuori squadra ed è stato multato in conseguenza di una condotta del tutto contraria ai valori su cui si fondano imprescindibilmente lo spirito e l'attività della società, dentro e fuori dal campo».

Lei, Selvaggia, combatte la sua battaglia quotidiana contro gli haters reali, sicuri che il web li renda virtuali. I suoi collaboratori catalogano e archiviano ogni insulto, minaccia o attacco. Lei, poi, pensa alla risposta. Per vie legali.

Quanta energia ci vuole per stare in trincea?

«Beh, intanto devo dire che non rispondo a tutti, mi faccio aiutare da alcune persone ad archiviare le offese peggiori. Su quelle, credo che non sia il caso di lasciar perdere, perché parliamo di quotidiane minacce di morte per me ma anche per mio figlio».

L'attacco virtuale del cestista cagliaritano da cosa scaturisce, secondo lei?

«È entrato nella mia pagina Instagram e ha scritto "troia infame", senza un post da commentare o qualcosa su cui discutere, era la foto di un viaggio. Mi hanno avvisato: è un cestista, anche abbastanza noto, e non è la prima volta. Successe già con un altro del basket, Sabatini, una frase sessista. Ieri ho messo la foto degli insulti sulla mia storia. E ho attaccato la società».

La risposta la trova d'accordo?

«Sì, l'ho trovata intelligente, sensibile, è un tema importante, il sessismo e gli insulti sono una delle questioni più calde di questo periodo storico. Mi capita spesso di denunciare offese da qualcuno che poi l'azienda nella quale lavora difende, cercando di insabbiare tutto. Invece questa volta mi ha colpito la tirata d'orecchio educativa, una grande dimostrazione di civiltà».

L'atleta si è scusato?

«Sì, mi ha scritto in privato. E mi ha rivelato di aver agito in preda a un impeto incontrollabile. "Ho fatto tutto senza pensarci, non mi sono documentato", mi ha detto. E so anche da cosa nasce questa vicenda».

L'impegno sociale? Il contrattacco a chi insulta?

«Non in questo caso. In tv, a Le Iene è andato in onda l'altro giorno un servizio dove mi si accusa di aver insultato e maltrattato la famiglia di un ragazzo che si è suicidato, niente di più falso. E questa operazione ha contribuito a scatenare gli animi di tante persone».

Andrà in fondo in questo caso? Crede al pentimento del giocatore?

«Mi sembra che la lezione ci sia stata, vedo gesti netti e anche di distensione. Sono convinta che questo sia un esempio positivo. Se non fossero arrivate le scuse, avrei senza dubbio proseguito sul piano giudiziario».

Questa moda virale di attaccare sempre, di insultare chiunque, da dove arriva? Come si alimenta?

«La bellezza dei social, e anche la loro trappola mortale, è rappresentata dall'immediatezza dello strumento con cui raggiungi in un istante tante persone, anche molto note, con la possibilità che tutti possano sapere quello che fai o dici. Un'immediatezza che non ti fa tenere conto delle cause, che non fa usare i freni, una rapidità micidiale. Invece tutti devono sapere che le conseguenze sono identiche a un insulto o una minaccia messi in atto nella vita reale, faccia a faccia».

Ieri sera ha voluto sottolineare pubblicamente che non finisce così, per chi prosegue nelle campagne di fango, rigorosamente nascosto dietro il pc.

«Sì, stiamo archiviando gli insulti peggiori di questi ultimi giorni contro la mia famiglia, ripeto anche con minacce di morte a me a a mio figlio, per procedere legalmente. Ma anche contro chi ha istigato tutto questo grazie a una narrazione televisiva capziosa».

Era in Sardegna, di recente. Ma non per turismo.

«Sono venuta ad aggiornarmi sulla vicenda di Valentina Pitzalis e per darle il mio sostegno. Ho scoperto una parte dell'Isola che non conoscevo, il Sulcis, inutile dire che Carloforte mi è rimasta impressa. Tornerò appena possibile».

Enrico Pilia
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