Che cosa sa fare, in Italia, un medico specializzando al terzo anno? Che apporto potranno dare i giovani camici bianchi in corsie sempre più vuote? Siamo certi che i pazienti ne beneficeranno e che non sia un palliativo tutto italiano per fermare l'emorragia di specialisti senza guardare ai pazienti e alla qualità delle cure? L'approvazione, il 17 dicembre scorso, della bozza del "Patto per la salute" che autorizza l'assunzione di medici al terzo anno di specializzazione, ha suscitato una serie di interrogativi e i primi a porseli sono gli stessi specializzandi. In astratto la novità sarebbe interessante perché consentirebbe ai giovani camici bianchi di iniziare in anticipo a fare esperienza vera, mentre oggi molti vengono utilizzati per compilare cartelle cliniche e fogli di dimissioni. Ma la realtà è che per come è concepita la formazione medica in Italia (che dura tra i quattro e i sei anni) si rischia di non completare il percorso e di compromettere li obiettivi professionali.

I protagonisti sono divisi. Giampaolo Maieli, referente in Sardegna della Sigm, Società italiana giovani medici, è nettamente contrario. "Assumere nel Servizio sanitario un medico in pieno percorso formativo appare una misura emergenziale estremamente rischiosa", spiega. "Quale tutela ci sarebbe per il cittadino se il medico non fosse all'altezza della prestazione ricerca? E quale tutela per il medico stesso?". Un altro elemento critico riguarda la formazione. "C'è il rischio che non ci siano più le condizioni necessarie a garantire un percorso formativo di qualità coerente con le Direttive europee e nascerebbero percorsi di formazione-lavoro alternativi a quelli normativamente previsti con lo spostamento di responsabilità senza gli adeguati profili di tutela di rischio professionale sui medici in formazione".

Per questo la Società italiana giovani medici rivolge un appello all'assessore alla Sanità Sarda e ai presidenti dei vari Ordini dei Medici provinciali affinché tutelino in tutte le sedi di competenza la qualità della formazione medica post lauream e la sicurezza dei pazienti, bocciando qualunque tipo di misura che non vada in questa direzione".

In realtà è stato proprio l'assessore alla Sanità, assieme ai colleghi di altre regioni, a sollecitare l'assunzione degli specializzandi per tamponare quella che grazie a (o a causa di) Quota 100 è diventata una fuga di massa dagli ospedali. Una fuga destinata a proseguire se è vero che, secondo il Codacons, nell'Isola entro cinque anni andranno in pensione altri 1.150. Anche i medici di Anaao-Assomed Ats Sardegna sono critici: "Non siamo disposti a prendere atto passivamente di situazioni che possono comportare grave danno per i pazienti e per i medici che vengono coinvolti come succede nei punti Pronto soccorso, per esempio nell'ospedale di Bosa", osserva il segretario Luigi Curreli che rileva come si sia arrivati "a disconoscere il valore delle specializzazioni mediche".

Non tutti sono contrari. L'associazione liberi specializzandi ha fatto un sondaggi tra i propri iscritti registrando il 63% di iscritti favorevoli al provvedimento.

Da un lato la novità è considerata un'opportunità per i giovani medici. Secondo alcuni la partecipazione è facoltativa e permetterebbe agli specializzandi di poter entrare in anticipo nel mondo del lavoro, soprattutto perché ciò consentirebbe di evitare le lungaggini dei concorsi pubblici. Non solo: molti vedono nel provvedimento la prospettiva di avere più anni a disposizione per scegliere l'azienda sanitaria che più si addice alle loro prospettive lavorative. Altri, anche nell'associazione criticano l'accordo perché lo vedono come una mortificazione della formazione medica. E sono i primi a chiedersi se uno specializzando iscritto al terzo anno, dopo solo 24 mesi di specializzazione, sia davvero pronto ad entrare nel mondo del lavoro. "Siamo certi che si tratterebbe di una libera scelta e non una scelta di tipo opportunistico dovuta alla prospettiva di un contratto a tempo indeterminato?".

Detto questo, l'auspicio dell'Associazione liberi specializzandi è che prendendo spunto da questo provvedimento si possa avviare "una riforma delle specializzazioni in cui lo specializzando già dal primo anno non debba essere più considerato uno studente ma un professionista lavoratore che si forma negli ospedali non universitari del territorio accreditati, che è seguito da professionisti medici, che può permettersi di "sporcarsi le mani" senza la paura di commettere errori e correre rischi legali, che non venga usato solo per compilare schede di dimissioni ospedaliere ma che possa scegliere di poter effettuare la convenzione esterna nella struttura italiana o estera che preferisce. Noi vorremmo che lo specializzando possa entrare nel mondo del lavoro sostenendo già i concorsi al terzo anno di specializzazione ma che provenga da un percorso di formazione-lavoro che non mortifichi la figura del medico-chirurgo".
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