Ventiquattro ore per far decantare lo schiaffo di Matteo Renzi e permettere ai partiti di maggioranza di ragionare sul da farsi.

La tentazione di Giuseppe Conte è quella di presentarsi alle Camere, far emergere le responsabilità di Renzi che ha aperto la crisi al buio e lanciare un largo appello alla responsabilità. Nessun dietrofront insomma, ripetere la mossa fatta con Salvini (e riuscita) dopo la crisi estiva aperta dal Papeete.

Ma Matteo Renzi, abile pokerista, ha lasciato uno spiraglio aperto per una trattativa. E lo ha confermato anche ieri sera, dopo il discorso in cui - con le dimissioni delle ministre e del sottosegretario - ha di fatto aperto la crisi di governo.

"Senza le dimissioni non si sarebbe aperta la discussione interna alla maggioranza", ha detto l'ex presidente del Consiglio ai parlamentari di Italia Viva riuniti in assemblea in videoconferenza. "Giuseppe Conte non mi ha mai chiamato, le aperture non si fanno per strada".

Fonti di maggioranza smentiscono, e fanno sapere che il premier nei giorni scorsi ha cercato al telefono Renzi, con chiamate e messaggi a cui non ha mai avuto risposta. Conte ieri sera nel primo Consiglio dei ministri post crisi ha parlato di "grave responsabilità e notevole danno al Paese" di Italia Viva. Non vuole più trattare con Renzi.

I rapporti sono logori: apertura a parte, Renzi ha attaccato duramente il presidente del Consiglio, che ormai lo tratta da avversario.

Il filo della fiducia è rotto, e Conte si sente più libero di giocare la sua partita in Parlamento. Non andrà subito da Mattarella a presentare le dimissioni, è tentato di fare un appello ai responsabili. Consapevole che sia il Capo dello Stato che una parte dei dem hanno seri dubbi sull'operazione, a meno che non si costituisca un gruppo parlamentare pronto a votare la fiducia (ci sta lavorando Clemente Mastella).

Questo insomma il dilemma di Conte: dimettersi per aprire il tentativo di un nuovo governo sedendo nuovamente al tavolo con Italia Viva o presentarsi in Parlamento, contando persino di strappare la fiducia di qualche onorevole renziano (ma in Italia Viva per ora non si è aperta alcuna rivolta interna).

GLI SBOCCHI DELLA CRISI - Ignoti gli sbocchi di una crisi che Conte non ha ancora formalizzato.

L'apertura di un tavolo con Italia Viva per formare un Conte ter con la stessa maggioranza, accogliendo l'offerta di Renzi ("Nessuna pregiudiziale sui nomi né sulle formule"), riscrivendo il patto di legislatura e facendo un rimpasto. Un'ipotesi che più passa il tempo più diventa remota. D'altronde Di Maio stesso ha parlato di "gesto irresponsabile", che "divide definitivamente le nostre strade". La politica è l'arte del possibile, vero, ma una ricucitura appare davvero molto difficile al momento.

Andare alla conta in Aula, appunto, sperando in un manipolo di "responsabili" (ne servono undici al Senato) per continuare l'esperienza di governo sostituendo le ministre dimissionarie.

Un nuovo governo con la stessa maggioranza: e qui si fanno i nomi di Dario Franceschi, spunta anche quello di Romano Prodi. Ipotesi al momento difficile da realizzare, perché Pd e (soprattutto) M5S, almeno da quanto lasciano trapelare all'esterno, vogliono andare avanti con "l'avvocato del popolo".

Mattarella che prende in mano la situazione e dà l'incarico a Mario Draghi o Marta Cartabia, per un governo di grande coalizione. Ma avrà i voti di Pd e 5 Stelle?

Il voto, richiesto a gran voce dal centrodestra, ma che nessuno dal Pd al Movimento alla stessa Italia Viva vuole. Ma che è la grande preoccupazione dei dem. M5S non parla più con Italia Viva e i responsabili non ci sono, osservano dal Nazareno, quindi è un'ipotesi più che probabile andare a elezioni anticipate a giugno.

Unica certezza, bisogna trovare una soluzione in breve tempo, come ha chiesto Mattarella. E non si può pensare di andare avanti prendendo "un voto qua e là".

(Unioneonline/L)

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