Il bilancio di 220 uccisi e circa 7mila feriti delle esplosioni del 4 agosto è finora il più grave verificatosi a Beirut da quasi 40 anni.

Il precedente peggiore risale al 23 ottobre del 1983 quando un duplice attentato suicida, rivendicato dall'organizzazione Jihad islamico (da più parti identificato con l'allora nascente Hezbollah), aveva ucciso 346 persone.

Un peso troppo grande per non lasciare strascichi a livello politico: e così dopo le dimissioni in massa del suo esecutivo il premier Hassan Diab lascia la guida della nazione.

La decisione è stata presa durante una riunione di gabinetto svolto dopo l'annuncio di altri quattro responsabili di dicastero già dimissionari o pronti a lasciare l'incarico. Si sono già dimessi il ministro libanese della giustizia Marie-Claude Najem, quella dell'Informazione Manal Abdul Samad e quello dell'ambiente Damianos Kattar mentre quello delle Finanze Ghazi Wazni ha detto di avere già scritto una lettera di dimissioni ma di voler attendere l'uscita di tutto l'esecutivo. Prima dell'esplosione si era dimesso anche il ministro degli esteri Nassif Hitti.

Intanto il movimento sciita Hezbollah, che sostiene fortemente il governo ma che è accusato da una parte dell'opinione pubblica di aver stoccato armi nel porto devastato dall'esplosione, ha assicurato che non intende "rispondere alle provocazioni" della piazza.

Nel frattempo la protesta nelle strade non si ferma, con nuovi scontri. Decine di giovani con il volto coperto hanno iniziato a scagliare sassi contro la polizia in tenuta antisommossa nella zona del Parlamento. Gli agenti stanno rispondendo con il lancio di lacrimogeni.

(Unioneonline/v.l.)
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