«I dirigenti sanitari di Sassari hanno commesso un errore imperdonabile: hanno fatto entrare il virus dentro l'ospedale, rendendo la situazione incontrollabile. Prevedo un aumento della mortalità nei prossimi giorni».

Il bavaglio imposto dall'assessorato regionale ai medici impegnati a contrastare la pandemia non serve. Chi ha assistito impotente al dilagare del Covid-19 al Santissima Annunziata di Sassari e nelle case di riposo parla. Certo, con la garanzia dell'anonimato per mettersi al riparo dalla minaccia di licenziamento contenuta nella famigerata circolare.

Il colloquio è con uno specialista universitario sassarese con esperienze di lavoro all'estero. Dopo aver preteso una serie di garanzie di riservatezza, apre uno squarcio nella cappa di omertà dietro alla quale si è cercato di nascondere l'incapacità dei vertici dell'Aou, l'Azienda mista ospedaliera-universitaria che governa il Santissima Annunziata e le cliniche.

Dottore, perché tanti contagi a Sassari?

«È stato commesso un errore strategico: aver fatto transitare al Pronto soccorso tutti i pazienti, anche quelli positivi. Sassari ha un solo Pronto soccorso che serve un territorio vastissimo. È un imbuto dove si sono ingolfati i malati. Altro che distanza sociale. Era stato proposto l'allestimento di un ospedale da campo, in modo da dividere i percorsi. Niente di tutto questo è stato fatto. La Cardiologia è stata compromessa e il virus ha dilagato».

Questo errore, però, è stato fatto anche in Lombardia, una regione all'avanguardia, dal punto di vista sanitario e non solo.

«Vero, ma noi sapevamo, avevamo quell'esperienza di fronte. Dovevamo trarne un insegnamento».

Quindi, in Cardiologia il paziente zero.

«Il paziente zero non è lui. Non è quello che si pensa di aver identificato».

Come fa a dirlo?

«Semplice: persone dimesse da Cardiologia prima dell'arrivo del presunto paziente zero, sono risultate positive. Il virus, quindi, era presente al Santissima Annunziata prima della data indicata».

Poi cosa è successo?

«Abbiamo pagato l'errore madornale di aver affrontato l'epidemia dentro l'ospedale. Bisognava spostare la battaglia sul territorio».

La Giunta regionale mercoledì scorso ha approvato una delibera (la n° 17/10), che prevede questo.

«Lo dico con difficoltà perché non ho alcuna stima dell'attuale amministrazione: però ha preso la decisione giusta. Siamo ancora in tempo, dobbiamo recepire le indicazioni e operare di conseguenza».

Quindi, cosa fare?

«Mandare i medici a visitare a domicilio, inviare una task force nelle case di riposo, composta da internista, virologo col supporto del medico di base e di un ecografo. In Veneto e Emilia hanno fatto così e stanno ottenendo grandi risultati».

Che sviluppi prevede?

«Se non cambiano le cose subito andremo a peggiorare. Dal Pronto soccorso continuano a entrare pazienti in ospedale, lo dimostra il caso della sedicenne proveniente da una casa protetta che ha fatto persino il giro di due o tre reparti per la diagnosi ed è poi risultata positiva. Follia. Prevedo un picco di mortalità tardiva».

Possibile che tutto questo non fosse evitabile?

«Il fatto è che quando si è in guerra, e con il coronavirus lo siamo, non puoi mandare al fronte chi si è occupato solo di scartoffie. Sarebbero serviti gli operativi, chi ha sempre operato sul campo. I dirigenti sono stati disastrosi».

Qualcuno ha pagato: è arrivato il nuovo commissario, Giovanni Soro, ed è stata "rivisitata" l'Unità di crisi locale.

«E meno male. Ora dal nuovo commissario ci aspettiamo decisioni rapide e efficaci. Chi c'era prima di lui, non era in grado di gestire la normalità figuriamoci l'emergenza».

Un giudizio severo

«E anche condiviso. Chiedete nelle corsie degli ospedali cosa ne pensano i medici di quei dirigenti. Per che cosa crede che abbiano imposto il silenzio»?

Insomma, la sanità sassarese ha fallito?

«Clamorosamente. Nelle pieghe del sistema è accaduto di tutto, nessun controllo, nessuna disciplina. Noi dovremmo, come minimo, essere ai livelli del Brotzu di Cagliari. Eravamo un hub regionale per il contrasto al coronavirus. Un hub, pensateci. E lo abbiamo infettato».

Ma non si poteva levare per tempo un grido di allarme?

«È stato fatto, gli infettivologi sono rimasti inascoltati. L'Unità di crisi ha fatto pasticci, formata com'era da decine di persone che hanno passato una vita dietro una scrivania».

Si riferisce all'ospedale da campo?

«Esatto. È stato detto e ripetuto: dividiamo i percorsi, combattiamo il virus all'esterno, lasciamo che l'ospedale si occupi delle altre malattie. Perché nessuno dice che nel frattempo infarti, ictus, tumori e tutto il resto continuano. Mica la gente è guarita di colpo. Come può operare un ospedale che ha l'epidemia nei corridoi»?

La città è spaventata, come percepisce questa realtà stando in corsia?

«Avremmo dovuto dare alla popolazione ben altre risposte. I miei concittadini sono stati bravi: al Pronto soccorso siamo passati da duecento accessi giornalieri a venti. Noi scherzando diciamo che i sassaresi vivono al Pronto soccorso. Solo in due occasioni si è svuotato: durante i Mondiali di calcio e adesso durante la pandemia. Ma anche quei venti accessi, non controllati, sono un pericolo. Ancora non ho visto percorsi in grazia di Dio».

Situazione irrimediabile?

«No, siamo in tempo per arginare l'epidemia. La Regione ha dato un indirizzo giusto ma dobbiamo organizzarci senza perdere altro tempo. Bisogna varare una fase 2 spostando la battaglia sul territorio. Il commissario intervenga e faccia quello che i suoi predecessori non sono stati capaci di fare».

Ivan Paone

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