In 168 pagine dense di fatti, sono contenute le motivazioni della sentenza che lo scorso 20 ottobre è costata l'ergastolo ad Alberto Cubeddu, il giovane di Ozieri in carcere per i delitti di Stefano Masala, scomparso e ucciso a Nule la sera del 7 maggio del 2015, e Gianluca Monni, lo studente di Orune assassinato la mattina dopo con tre fucilate mentre attendeva l'autobus per andare a scuola.

"I numerosi indizi - scrivono i giudici - tutti caratterizzati dai requisiti della gravità, della precisione e della concordanza, convergono nell'indicare al di là di ogni ragionevole dubbio la responsabilità di Cubeddu".

L'unione tra i due delitti, quello di Masala, funzionale al delitto Monni, inizia con l'acquisto della moto da parte di Paolo Enrico Pinna e Cubeddu. "Quantomeno nel mese di aprile, se non già a febbraio - è scritto nelle motivazioni - con l'acquisto della moto iniziò la pianificazione di entrambi gli omicidi. L'inscindibile connessione tra i due delitti - sottolineano i giudici - è ulteriormente posta in risalto dal fatto che la soppressione di Stefano Masala era necessaria per far ricadere, almeno in apparenza, sui di lui la responsabilità dell'omicidio Monni, commesso con l'utilizzo della vettura che gli era stata sottratta, e ripresa dalla telecamere di sorveglianza di Orune".

L'imputato Cubeddu col suo legale, Patrizio Rovelli (L'Unione Sarda)
L'imputato Cubeddu col suo legale, Patrizio Rovelli (L'Unione Sarda)
L'imputato Cubeddu col suo legale, Patrizio Rovelli (L'Unione Sarda)

A collocare Cubeddu a Orune la mattina del delitto sono stati una testimone e anche lui stesso in un'intercettazione. Il riconoscimento della ragazza "deve ritenersi pienamente attendibile e credibile", spiegano i giudici. Fatto che lo stesso Cubeddu "ammise durante un colloquio in carcere".

Anche l'altro testimone, Alessandro Taras, e le sue rivelazioni sono - per i giudici - "pienamente credibili sia dal punto di vista estrinseco che intrinseco, e hanno trovato molteplici riscontri". A partire dal dettaglio rivelato sulla pattuglia incontrata nel tragitto mentre accompagnava Cubeddu a bruciare la Opel dei Masala, non emerso prima nelle indagini, all'orario dell'incendio, e all'aver indicato con precisione il luogo.

"A bordo dell'auto con cui venne eseguito il delitto si trovavano certamente i due cugini, Paolo Enrico Pinna e Alberto Cubeddu", sottolinea la sentenza e soprattutto si evidenza come "nessuno dei due giovani aveva con sé il telefonino avendoli entrambi lasciati a casa per procurarsi un alibi ed evitare di essere localizzati". Così i giudici mettono i punti sulla presenza di Pinna e Cubeddu la mattina del delitto ad Orune, ma anche dopo ad Ozieri a casa di Cubeddu sottolineando "l'importanza della presenza della moto" utilizzata per rientrare dopo l'omicidio.

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