Tremano le vene dei polsi. Piangono le vittime senza giustizia. Quello che un giorno era Capo Teulada, estrema punta della Sardegna del sud verso la Tunisia, è diventato negli atti processuali la Penisola Delta. Interdetta. Inaccessibile. Vietata per disastro ambientale. Non ci potrà mai più entrare alcuno, militari compresi. Le ipotesi di reato sono impresse a fuoco sulla richiesta di archiviazione che la Procura della Repubblica di Cagliari ha proposto al Giudice per le indagini preliminari sul caso Teulada. L'aula del Tribunale è decimata. Qualche ora prima dell'udienza fissata per ieri mattina gli avvocati dei generali hanno dato forfait. Piegati, dichiarano con certificato medico, direttamente dal Covid. Sotto inchiesta sono finiti i capi di Stato maggiore dell'Esercito dal 2009 al 2015, i loro diretti subordinati e persino il comandante della Regione Sardegna dell'Esercito.

Bradipo senza sonno

I reati per i quali sono indagati toglierebbero il sonno a un bradipo. A chiedere giustizia sono malati tumorali, parenti di vittime morte in seguito all'esposizione a sostanze contaminanti nelle aree del poligono di Teulada. In venti ci hanno messo la faccia, nomi e cognomi iscritti nel registro delle vittime. Il reato potenziale che riguarda i generali indagati è quello che suona le campane a morto: «Reato per aver, agendo in concorso tra loro, ciascuno nella rispettiva qualità, mediante la condotta richiamata ed introducendo sostanze contaminanti, cagionato per colpa, a seguito di malattie tumorali, la morte o lesioni personali gravi». Il tutto dal 4 novembre 2009 sino ad epoca anteriore e prossima al primo settembre 2014. Dai reati riguardanti le persone a quelli ambientali. Roba da non credere. Per la prima volta la Procura ha messo nero su bianco l'assalto a Capo Teulada, con tanto di numeri da guerra perenne. In quei 2,78 chilometri quadrati della Penisola Delta dal 2010 al 2014 sono stati esplosi 686.000 colpi di artiglieria pesante, razzi e missili anticarro.

I Balcani sardi

Come se il Kosovo, al cospetto, fosse un campo di fiori. L'inchiesta della Procura, nonostante la proposta di archiviazione, è articolata come uno schiacciasassi. Scrive Emanuele Secci, pubblico ministero del caso Teulada: tali condotte determinavano il mutamento grave della morfologia del territorio, con la formulazione di numerosi ed estesi crateri prodotti dall'impatto e dall'esplosione di missili e munizioni. Ma non è finita. Secondo la Procura si è generato il deterioramento e la compromissione di estese porzioni di suolo della Penisola di Capo Teulada, l'alterazione dell'equilibrio degli ecosistemi e il pericolo concreto per l'incolumità pubblica. Le parole che concludono i reati d'indagine sono disarmanti: «Con l'aggravante dell'essere il disastro avvenuto».

Poligono Delta

Il Poligono "Delta", quella propaggine di terra ferma che in qualsiasi altra parte del mondo sarebbe stata tutelata come un monumento, nel regolamento del poligono della Nato è declinato con un referto senza appello: «Territorio di cui non è possibile né conveniente la bonifica». Del resto quella porzione di Sardegna era stata deliberatamente destinata alla distruzione, considerato - scrive il magistrato - che quell'area era destinata alla zona arrivo colpi di mortai e artiglierie, missili filo guidati, tiri navali contro costa, di bombardamento e mitragliamento aereo, per sganci di emergenza per gli aerei. Insomma una guerra perenne senza esclusione di colpi.

(Archivio L'Unione Sarda)
(Archivio L'Unione Sarda)
(Archivio L'Unione Sarda)

Nuraghi & missili

Compresi i nuraghi, o perlomeno quel che resta, all'interno del poligono visto che i Carabinieri del Nucleo di tutela patrimonio culturale di Sassari e la Soprintendenza hanno trovato distruzione ovunque. Indagini, è scritto nella richiesta di archiviazione, che non hanno consentito di collocare nel tempo i fatti di danneggiamento e identificare i responsabili. C'è di tutto nell'inchiesta. Una caterva di prove e documenti e persino omissioni evidenti e palesi da parte della struttura militare. Basti pensare a quanto è successo a Perda Rosa, zona esterna rispetto alla penisola interdetta, nel cuore del poligono. In quell'area erano dispiegati ben sei carri armati bersaglio.

Nascondevano le aree

L'indagine in quell'area, scrive il giudice, è potuta iniziare solo ad ottobre del 2014 perché «non era stata inserita dai militari del primo reggimento corazzato tra quelle indicate come zone di arrivo colpi dei missili Milan». Se la sono tentata, ma sono stati scoperti ugualmente. Il risultato è radioattivo, considerato che dentro quelle aree sono state trovate le lunette al torio di quei missili.

Torio ovunque

Torio, ovvero sostanza nucleare molto più pericolosa dello stesso uranio. Tutto finito in un deposito provvisorio di scorie radioattive dentro il poligono. Una sorta di pollaio recintato con il simbolo del trifoglio radioattivo ben in vista. Nella richiesta di archiviazione della Procura prevalgono due argomentazioni. Non c'è la certezza della causalità della malattia con le esercitazioni e per il disastro ambientale non è possibile individuare i colpevoli.

Prima la guerra

A questo si aggiunge un assunto del Ministero della Difesa e degli indagati che lascia semplicemente interdetti: prima dell'ambiente e della sua protezione vengono le esigenze militari. È scritto senza mezzi termini: «...garantire l'efficienza delle operazioni militari prevaleva, dunque, per l'Amministrazione della Difesa, sul valore ambientale della Penisola Delta, anche a costo del suo sacrificio». Prima di tutto armi e guerra. L'udienza per l'archiviazione è rinviata causa Covid.

(Archivio L'Unione Sarda)
(Archivio L'Unione Sarda)
(Archivio L'Unione Sarda)

Corte dei Conti

A Roma, invece, la Giustizia erariale mette a segno una sentenza rivoluzionaria che rischia di mandare gambe all'aria le finanze del Ministero della Difesa. La Corte dei Conti, la seconda sezione centrale d'Appello, emana una sentenza storica. Un nuovo corso della giustizia che non solo respinge le tesi dei generali ma le ribalta con pronunciamenti destinati a restituire il maltolto alle vittime di uranio, torio e nanoparticelle, sia dei teatri di guerra che dei poligoni. Il Ministero della Giustizia aveva "strapregato" i giudici della massima Corte contabile di accogliere il loro ricorso. Aveva perorato la causa con un'affermazione che lascia capire la forza della sentenza stessa: l'appello - avevano scritto gli avvocati della Difesa - va accolto per evitare il prevedibile aumento del contenzioso considerato il carattere innovativo della pronuncia.

L'avvocato storico

Niente da fare, i giudici contabili, al massimo livello, hanno dato ragione all'avvocato storico delle vittime militari, Angelo Fiore Tartaglia, che, dopo la sentenza della scorsa settimana del Consiglio di Stato, porta a casa un altro pronunciamento chiamato a fare storia giurisprudenziale. Nella decisione della Corte dei Conti si afferma l'esatto contrario di quanto sostiene la Difesa: basta essere andati in teatro di guerra, compresi i poligoni, per essere stati esposti a qualsiasi contaminazione. In caso di malattia lo Stato deve pagare. Punto e basta. Non serve la prova di certezza assoluta, dice la Corte dei Conti.

Luce nel tunnel sardo

Un nesso causale di fatto automatico che potrebbe ribaltare la storia processuale anche in Sardegna. «Nei poligoni militari sardi - dice Angelo Fiore Tartaglia - si fa una guerra perenne, più di quanto è richiamato nelle cause che abbiamo già vinto. In base a queste sentenze di Consiglio di Stato, e ieri della Corte dei Conti, lo Stato deve risarcire le vittime e non solo. Anche la stessa Regione, per le stesse motivazioni avrebbe diritto ad essere risarcita per il disastro ambientale». Un nuovo capitolo nella storia infinita delle servitù militari in Sardegna. Una flebile luce in fondo al tunnel dei soprusi di Stato.

Mauro Pili
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