Grazia Flaim, magistrato del Tar Sardegna, è fine giurista. Ogni parola al suo posto, analisi dei fatti, relazione in punto di diritto e poi sentenza. Il lessico da Camera di Consiglio anche nei tribunali amministrativi è forbito quanto basta per essere capito solo dagli addetti ai lavori. Questa volta, però, il giudice estensore della sentenza del Tar Sardegna sui rifiuti provenienti dal continente ha scelto di essere chiara come non mai. Il collegio della seconda sezione del Tribunale amministrativo di Cagliari, presieduto da Francesco Scano, con il giudice Marco Lensi, ha affidato a lei il compito di scrivere la decisione che segna una svolta campale nell'affare dei rifiuti spediti in Sardegna da mezza Italia. I giudici potevano liquidare la decisione con mezza riga: il ricorso è respinto. E, invece, l'ordinanza emessa ieri mattina, quando il batacchio del tribunale non aveva ancora suonato il nono rintocco, è qualcosa di più di una semplice decisione di non accoglimento del ricorso dei viandanti di fanghi e rifiuti. Che gli affari stessero capitolando Grazia Flaim lo ha fatto capire sin dalle prime battute dell'articolata sentenza.

Rifiuto "fognario"

Nel primo capoverso del dispositivo si legge: la ricorrente Siged accoglie nella discarica in località "Scala Erre" del Comune di Sassari rifiuti-fanghi provenienti dall'Acquedotto Pugliese, - aperta e chiusa parentesi - (fognature). È quel puntuale chiarimento "fognario", messo tra parentesi in un dispositivo giudiziario, che fa crollare l'intero sistema. Il Tar respinge senza appello il ricorso dei signori dei fanghi putridi spediti in terra sarda da Bari e Taranto, da Bisceglie e Barletta. Manda a carte quarantotto i piani di chi li sotterrava nel paesaggio lunare tra Canaglia e Porto Torres e dei loro intermediari. Quei fanghi fognari che arrivavano in Sardegna venivano semplicemente sotterrati, senza nessun trattamento, spediti in terra sarda con l'unico intento di fare soldi e riempire discariche da nord a sud dell'Isola. La decisione del Tar avrà immediate e dirette ripercussioni su tutte le discariche destinatarie dei rifiuti extra regionali, da EcoSerdiana alla Riverso di Carbonia, sino all'impianto di Magomadas, che non avrebbe mai trasformato quei rifiuti in ammendante. A distanza di 48 ore dalla Camera di Consiglio, dove gli avvocati delle parti si sono letti la vita, societaria ed economica, i giudici amministrativi hanno, dunque, sciolto la riserva. C'è voluto più tempo del solito per la decisione. In ballo non c'era solo il caso Scala Erre, difeso con una determinazione non comune dalla Provincia di Sassari, ma la discussione era molto più ampia e riguardava l'intero sistema dei rifiuti in Sardegna. Una sentenza a cascata che riguarda di fatto l'intero territorio regionale, da nord a sud. È fin troppo evidente che questa decisione sia stata ponderata e concertata dall'intero Tribunale, visto che la prima sezione, guidata da Dante D'Alessio, che del tribunale è anche il presidente, ha in carico altri tre ricorsi di uguale materia: quello di EcoSerdiana, della Riverso di Carbonia, a sostegno della prima, e quello del Comune di Donori che si oppone all'ampliamento della stessa discarica. È inimmaginabile che tra le toghe di Piazza del Carmine non ci sia stato un consulto preventivo, visto che la Regione è scesa in campo schierando le punte avanzate dell'avvocatura sarda per fermare lo sbarco dei rifiuti extra regionali in Sardegna. L'oggetto del contendere era esplicito: la Provincia di Sassari, con un provvedimento a firma del dirigente del settore Ambiente, Antonio Zara, aveva diffidato la Siged, la società che gestisce la discarica di rifiuti a Scala Erre, dal ricevere qualsivoglia rifiuto dal continente.

Multe e sentenza

Contestazione sfociata nelle ultime ore in sanzioni milionarie, oltre 5 milioni di euro, per tutti i soggetti coinvolti nell'operazione pugliese. Il primo a reagire alla diffida formale della Provincia non era stata, però, la società di gestione della discarica ma l'intermediario sardo dei fanghi fognari, la Domus srl, la società della famiglia Patteri, quella gestisce l'operazione tra Sassari e Bari. Scatta il ricorso al Tar per chiedere l'annullamento della diffida provinciale e dello stesso parere emesso dall'assessorato regionale dell'Ambiente con il quale si vietava lo sbarco nei porti sardi dei camion carichi di parfum de fogna. Alla fine si accoda anche la Siged, tirata per i capelli, e per iscritto, dalla stessa Domus. In ballo ci sono contratti milionari. Milioni di euro che scorrono su un affare senza precedenti. Poco importa se la gente insorge, da Olbia a Magomadas, se le discariche si riempiono in un batter d'occhio, lasciando i rifiuti sardi senza dimora. Il ricorso al Tar, per questi signori, è questione di vita o di morte. Se non riescono a bloccare l'offensiva, tutta amministrativa e protesa al rispetto delle leggi da parte della Provincia di Sassari, il castello poggiato su quella melma nauseabonda della Puglia è destinato a franare come niente. I dominus del sistema, i soci della Domus, non ne vogliono nemmeno sentire di rinviare la decisione al merito. Chiedono urgentemente di bloccare il provvedimento e chiedono danni per milioni di euro, adducendo contratti già sottoscritti con il loro omologo pugliese. Fanno il diavolo a quattro e chiedono tempi rapidi e l'immediata sospensione del provvedimento. Hanno fretta di riprendere il via vai di camion carichi di concentrato fognario e non prendono nemmeno in considerazione la possibilità che il Tar faccia saltare il banco. Se hanno fatto bene i conti su quanto frutta una tonnellata di fango fognario pugliese, non li hanno fatti altrettanto bene con la giustizia amministrativa.

Costituzione e autosufficienza

La sentenza del Tar è articolata e non ammette repliche. I giudici amministrativi prendono in mano la sentenza della Corte Costituzionale, invocata a gran voce dai signori dei rifiuti per consentire la libera circolazione in tutto il territorio italiano di ogni genere di immondezza, l'attualizzano e l'applicano nel merito: la libera circolazione non riguarda i fanghi fognari, e in generale i rifiuti che arrivano dal continente, non ha niente a che fare con quegli scarichi da wc che vengono sotterrati punto e basta.

«L'orientamento invocato (con effetti "diretti" sull'autorizzazione) - scrivono a chiare lettere i giudici - non può trovare applicazione in questo contesto in quanto l'oggetto della pretesa è lo smaltimento in discarica (senza trattamento) di rifiuti prelevati dall'Acquedotto Pugliese dalla società Domus e qualificati come "fanghi prodotti dal trattamento delle acque reflue urbane"». «In definitiva - proseguono i togati del Tar Sardegna - non risulta fondata la domanda cautelare attinente lo smaltimento di tali fanghi-rifiuti senza aver ottenuto, previamente, alcun titolo di ampliamento dell'Autorizzazione Integrata Ambientale (mai richiesto)». Il colpo letale al sistema è nell'ultimo capoverso della sentenza: «L'estensione potenziale "di fatto" non trova nemmeno sostegno nelle indicate sentenze della Corte costituzionale, in considerazione della tipologia dei rifiuti, per i quali la Corte stessa sancisce la prevalenza del principio dell'autosufficienza nello smaltimento».

Porti chiusi

I giudici amministrativi chiudono i porti ai rifiuti: le discariche sarde non sono autorizzate a ricevere quella tipologia di rifiuti extraregionali, il principio dell'autosufficienza è sacro. Tradotto: ognuno si tenga i propri rifiuti e se li gestisca come meglio crede. La sentenza è immediatamente operativa. Ieri mattina alle nove, poco dopo la decisione del Tar, senza perdere tempo, la provincia di Sassari, con a capo il primo dirigente Antonio Zara, piombava, senza preavviso, nella discarica di Scala Erre. Un blitz per ribadire che rifiuti "stranieri" nell'Isola del lentischio non ne possono entrare. Il Tar Sardegna ha messo la parola fine a quel traffico di rifiuti. Spetta a Province e Regione mettere in pratica la legge. E non ci sarebbe niente di strano se nelle prossime ore la Forestale venisse schierata nei porti della Sardegna per bloccare ogni nuovo ingresso in terra sarda dei rifiuti vietati.

Mauro Pili

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