Tribunale amministrativo regionale della Sardegna. Seduta virtuale in tempo di Covid. Udienza del 15 luglio 2020, ieri. Causa 557 del 2019, non una qualunque. Porte blindate, vietato l'accesso alla connessione secretata. Partecipano gli avvocati delle parti, ammessi di diritto al dibattimento. Ci sono i giudici amministrativi, quelli della prima sezione. Il Presidente del Tar Sardegna Dante D'Alessio e i magistrati Tito Aru e Antonio Plaisant. Da una parte la Regione sarda, dall'altra Ecoserdiana, da sempre, nel sud Sardegna, sinonimo di rifiuti e discarica. Una montagna infinita di mondezza, pericolosa e non solo, oltre 3 milioni di metri cubi accumulati in una gola profonda tra Serdiana e Donori. Nascosta ai più, lontana da occhi indiscreti, come capita quando non bisogna urtare la sensibilità dei cittadini. L'oggetto del contendere è roba da far accapponare la pelle: smaltimento attraverso la discarica di Serdiana e Donori di rifiuti pericolosi provenienti dal nord e sud d'Italia. Centinaia di migliaia di metri cubi di ogni genere di sostanze, da quelle pericolose industriali allo smaltimento di sostanze cancerogene e quant'altro. La Regione Sardegna con una delibera del 23 maggio 2019, la 19/24, mette nero su bianco le condizioni per ampliare quella discarica infinita, circondata da rigogliosi uliveti e rinomati vigneti. L'autorizzazione regionale vieta l'ingresso di rifiuti extra regionali, ovvero l'ampliamento deve essere usato solo ed esclusivamente per i rifiuti prodotti in Sardegna.

Al Tar la grande partita dei rifiuti

In ballo ci sono gli affari più morbosi sulla testa dell'Isola, con società che per fare soldi a palate sono pronte a sottoscrivere accordi con chiunque pur di accaparrarsi commesse di ogni genere, pur di riempire quelle buche o quei nuovi rilevati con rifiuti provenienti da ogni dove.

Il dibattimento, stringato come si conviene alle aule amministrative, non contempla arringhe ad effetto. Nessuno si è potuto rifare all'esempio di un noto avvocato cagliaritano che, appellandosi al dono della sintesi, per tentare di salvare il suo cliente da condanna sicura, si inerpicò in un'arringa efficace quanto sintetica. Rivolgendosi ai giudici li esortò: guardatelo negli occhi, se in coscienza avete un solo convincimento della sua colpevolezza, condannatelo. Lo condannarono. I giudici del Tar, invece, non guarderanno in faccia a nessuno, semmai dovranno studiare una montagna di documenti, carte secretate, sconosciute ai più che rivelano uno spaccato incredibile su quello che sta accadendo in Sardegna nel silenzio più assoluto. Nell'udienza di ieri mattina, però, si è consumato un colpo di scena che lascia trasparire una vera e propria santa alleanza tra coloro che pianificano la grande cloaca della Sardegna, dove portare di tutto e di più, senza limiti di quantità e di pericolosità. I giuristi lo definiscono intervento ad adiuvandum, in realtà è un patto scellerato che per la prima volta esce allo scoperto in un'aula giudiziaria. A sostegno della causa di Ecoserdiana interviene formalmente la Riverso S.p.a., la società della famiglia Colucci, campana doc, che con un'operazione finanziaria, negli anni scorsi si è accaparrata il gran Canyon di Serra Scirieddus, tra Carbonia e Gonnesa. Una discarica da paura, un set da film dell'horror, con escavatori e ruspe che interrano ogni genere di rifiuto, ovviamente proveniente da ogni parte d'Italia. La mossa di Colucci & company non è solidarietà francescana. In gioco ci sono assegni a sei zeri, milioni e milioni di euro, che ogni anno vengono staccati per riempire quelle ciclopiche buche di sostanze pericolose e inquinanti.

La santa alleanza continentale

La Riverso spa conosce perfettamente l'oggetto del contendere: se vince Ecoserdiana la Sardegna potrà essere riempita di rifiuti pericolosi senza limite, l'obbligo di smaltire solo rifiuti regionali franerà a colpi di camion carichi di tutto e di più pronti a prendere il mare per invadere l'Isola. Nelle prossime ore i giudici scioglieranno la riserva e la decisione sarà resa nota. Dal risultato dipende il futuro dell'Isola, quello ambientale e sanitario, quello sociale ed economico. Le carte secretate sono, però, un malloppo troppo ghiotto per non fare chiarezza e capire quello che sta avvenendo in Sardegna, da nord a sud, passando per il caso di Magomadas, anello di congiunzione tra interessi e affari che hanno portato la magistratura oristanese ad intervenire con la più severa delle decisioni: impianto sequestrato. Una decisione forte e non a cuor leggero, sinonimo di carta che canta. Documenti e atti che gli inquirenti hanno accumulato in mesi di indagini puntigliose e pazienti. Nei faldoni di carta depositati al Tar Sardegna i soci in giudizio, Ecoserdiana e Riverso, si appellano al danno che ne deriverebbe dall'escludere i rifiuti continentali dal loro business. La società che gestisce la montagna di sostanze pericolose, collocata giuridicamente nel Comune da cui ha preso il nome, si è spinta oltre e ieri mattina ha chiesto al Tar di riconoscergli un danno iniziale, salvo quello da quantificare, di un milione di euro. Danni per rifiuti pericolosi che non arriverebbero in Sardegna per la decisione della Regione di bloccarli.

In Sardegna sostanze pericolose

Per spiegare ai giudici la bontà delle proprie pretese vengono allegate alle carte le promesse di trasporto nell'Isola di rifiuti da parte delle società sparse qua e là, dal nord al sud Italia, tutto da spedire in Sardegna, con tanto di pacco regalo avvolto da denari sonanti. Agli atti del Tar la promessa di inviare nelle discariche sarde sostanze e rifiuti pericolosi. Quantità illimitate e imprecisate, un far west del seppellimento. Si candidano, secondo i documenti riservati dell'Ecoserdiana, a portare tutto questo bene del diavolo, le società più disparate: la Biochen di Rovereto, la LCA di Sessano Del Molise, la Galatina di Lecce sino ad arrivare alla società "il Recupero srl" che dalla cinta lombarda si ripromette di spedire a Serdiana una lunga colonna di camion carichi di amianto. Non sono da meno le carte della Riverso, i sostenitori legali della partita del secolo, quella che vuole trasformare la Sardegna in una discarica di rifiuti pericolosi al centro del Mediterraneo. Dagli incartamenti della Riverso Spa emergono elementi che appartengono più ad una confessione che ad un piano industriale. Il piano di smaltimento della società campana è uno schiaffo al vincolo regionale di smaltire solo rifiuti di produzione sarda. Nel 2020 i soci di Riverso prevedono di smaltire nella discarica del Sulcis ben 29.500 mc di rifiuti speciali provenienti dall'Isola, mentre secondo le previsioni, messe nero su bianco, prevedono di seppellire nell'impianto di Serra Scirieddus ben 100 mila metri cubi di rifiuti, per la maggior parte pericolosi, provenienti dal continente.

Senza che nessuno glielo abbia impedito, durante il lockdown, mentre tutti ripensavano al rapporto tra l'uomo e l'ambiente, una colonna marciante di camion si è inerpicata su quelle strade divelte e impolverate del Sulcis per scaricare in mezzo ai rilievi montuosi, sottratti alla natura e al paesaggio minero-ambientale, una caterva senza fine di ogni genere di maledizione. Il quadro dei conferimenti dei primi 5 mesi del 2020, in nostro possesso, è la fotografia più devastante di quanto si stia consumando nell'Isola dei Nuraghi. In appena 150 giorni nella discarica della Riverso Spa sono state sotterrate ben 69.487 tonnellate di rifiuti pericolosi, terra e rocce contenenti sostanze pericolose, fanghi contenenti sostanze pericolose prodotti da altri trattamenti di acque reflue industriali.

Sardegna unica che li accetta

A trasferire queste sostanze sono società ben individuate, con nome e cognome. Tra tutte la Navarra Spa, il principale conferitore di rifiuti pericolosi nella discarica di Carbonia con un terzo di rifiuti pericolosi scaricati, dall'inizio dell'anno sino a maggio scorso, nella gola sotto la miniera di Monte Onixeddu. Dagli atti spunta una lettera che congela le vene: in Italia, scrive Navarra, non esistono impianti autorizzati allo smaltimento dei rifiuti con il codice CER 190304, ovvero rifiuti contrassegnati come pericolosi, parzialmente stabilizzati. Tutta la peggior specie di scarti inviati in Sardegna con non meno di mille chilometri di viaggio, su autostrade e nave. Una volta scaricati ad Olbia, attraversando tutta la rete viaria sarda fino al Sud dell'Isola, una volta direttamente al porto di Cagliari, verso il Sulcis o verso Magomadas.

Una volta sono gli scarichi fognari della Puglia e della Campania, un'altra volta quelli del Lazio, gli scarichi industriali del nord Italia e l'amianto di mezzo stivale. Sardegna, dunque, trasformata in cloaca d'Italia, sull'altare di affari che strisciano in lungo e in largo, attraversano la terra dei fuochi e non solo, solcano il Tirreno, per riempiere discariche, terreni e falde idriche in terra sarda.

La magistratura indaga ovunque, sequestra impianti e segue le piste più tortuose dei rifiuti "stranieri". La Regione si oppone all'assalto dei rifiuti continentali. In ballo c'è il futuro della Sardegna.

Mauro Pili

(Giornalista)
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