A ben vedere il faccia a faccia belligerante tra i due principali volti del M5s nel governo è molto più che una notizia: Giuseppe Conte alla resa dei conti (sui conti) con Luigi Di Maio è un caso. Infatti le due principali anime del Movimento nel governo si fronteggiano dopo essersi divise - in questi giorni - con una geometria che solo la creatività della politica italiana poteva rendere possibile. Da un lato il premier alleato del Pd, dall'altro il ministro degli Esteri, alleato - di circostanza, ma pur sempre alleato - dell'odiato Matteo Renzi.

Nicola Zingaretti, che solo 40 giorni fa chiedeva discontinuità su Conte, oggi lo esalta: «Se si va al voto anticipato - mi ha detto - con lui candidato premier vinciamo noi». Persino Carlo Calenda, critico con la manovra e uscito dal Pd per via del Conte bis, lo sdogana: «Dai focus group che sto facendo in giro per l'Italia emerge come l'unico leader che ha un futuro». Se ce lo avessero pronosticato non ci avremmo creduto. La politica - diceva Otto Von Bismarck - è l'arte del possibile. In Italia è la scienza dell'impossibile.

Tema del contendere è la questione più antica e irrisolta della storia repubblicana, l'evasione fiscale. A cui Conte ha detto di voler fare la guerra senza se e senza ma: «Su questo tema, nel governo, mi assumo io, in prima persona, la responsabilità», ha ripetuto in una intervista a Marco Travaglio la settimana scorsa. E i provvedimenti-simbolo che agitano gli equilibri della maggioranza sono almeno sei.

Eccoli. 1) il carcere per gli evasori, non introdotto direttamente in manovra, ma in un provvedimento collegato; 2) la plastic Tax e 3) la sugar Tax e 4) l'introduzione della multa per la mancanza del Pos; 5) l'innalzamento di tutte le soglie di reato fiscale; 6) l'abbassamento dei limiti di portabilità del contante da 3000 a 2000 euro (subito) e 1000 euro (nel 2022).

Si arriva a queste misure perché il governo ha deciso di disinnescare le famigerate clausole Iva (23 miliardi) e di non tagliare Reddito e Quota cento, per non disfare quello che il precedente governo aveva fatto. Toccare la riforma previdenziale, per giunta, avrebbe posto subito il tema dell'enorme scalone di sette anni che la Fornero ha lasciato irrisolto. Inoltre il governo e il premier non vogliono rinunciare al cuneo fiscale di 3 miliardi per i redditi del ceto medio (il famoso bonus della Befana a cui Conte tiene molto). È così che dati tutti questi vincoli l'ultima leva rimasta in mano all'esecutivo è il recupero di almeno una briciola di quel buco nero chiamato Evasione, 106 miliardi che sfuggono al fisco ogni anno, e l'introduzione parziale di alcune di tasse di scopo "ecologiche" (zucchero e plastica), che sono anche capaci di produrre gettito immediato.

Le prime indiscrezioni del faccia a faccia sono folgoranti. Il premier che dice "Diamoci una calmata" e Di Maio che ribatte "Ti ho messo io lì". L'elemento paradossale è che quando durante le trattative per la formazione del governo Conte ripeteva di essere un "indipendente" nel Movimento e Di Maio rivendicava la poltrona di viecepremier "per mantenere una presenza a Palazzo Chigi", tutti pensavano che fosse un gioco delle parti. Invece, alle prime onde, le geometrie si sono effettivamente scomposte, con il Pd che sostiene Conte nella sua battaglia, e Renzi che ha subito cercato un'alleanza con i riluttanti del M5s . Sulle pene per gli evasori - per esempio - Zingaretti ha detto: «Perché non dovrebbero essere puniti con il carcere i grandi evasori?». E su questo tema è determinatissimo anche il ministro Bonafede. Il terrore di Di Maio è quello di perdere il contatto con alcuni settori di voto - piccoli commercianti, artigiani - che potrebbero essere spaventati da alcune di queste misure e attirati dalla Lega. Il compromesso possibile? Qualche passo indietro sui Pos e sulla mini-flat tax. Che Di Maio porterebbe a casa in cambio del via libera sul carcere per gli evasori. Altrimenti (ma qui si entra nella fantascienza) salta ogni compromesso e stavolta si va a votare davvero.

Luca Telese

(Giornalista e autore televisivo)
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