Al vicesindaco di Lotzorai hanno fatto trovare il proprio nome sul muro del cimitero del paese. A fianco, una bara stilizzata e la data di morte. Era metà agosto, giorni caldissimi sotto tutti i punti di vista: in quelle ore gli amministratori dell'Isola stavano collezionando minacce simili o addirittura peggiori. Auto bruciate, molotov sull'uscio di casa.

Dorgali, Girasole, Cardedu. Sempre a Lotzorai, qualche mese prima avevano raso al suolo la vigna del sindaco. Tecniche di intimidazione diverse, identico copione per le ore successive: solidarietà degli altri primi cittadini sardi, vicinanza delle massime cariche della Regione, comunicati firmati dal ministro in persona. E poi, di nuovo in ufficio, in Comune, soli e con la paura di nuove minacce.

La Sardegna ha il primato degli attentati agli amministratori locali. Le statistiche del ministero dell'Interno dicono che nel 2018 nessun'altra regione ha dovuto affrontare una simile ondata di atti intimidatori. In un anno sono stati 78. Solo la Lombardia, con oltre dieci milioni di abitanti e 1.516 Comuni, quattro volte quelli sardi, tiene testa all'Isola con 73 attentati. Seguono la Puglia (65), la Calabria (59), la Sicilia (57). Nella classifica finale del 2019, se non dovesse essere confermato il primato, la nostra regione sarebbe comunque sul podio.

Se si considerano invece gli ultimi sei anni è la Calabria a primeggiare nel quadro nazionale: 525 attentati dal 2013. Poi c'è la Sicilia, con 510. La Puglia, con 508, e la Sardegna con 451.

In tutta Italia gli episodi di questo tipo sono stati più di 4.000. L'unica isola felice è la Valle d'Aosta: nessun atto intimidatorio registrato dal 2013 a oggi.

L'impietosa tabella del Ministero dell'Interno
L'impietosa tabella del Ministero dell'Interno
L'impietosa tabella del Ministero dell'Interno

In Sardegna il clima è completamente diverso. L'ultimo episodio è quello di Ula Tirso: qualcuno ha pensato di far paura al sindaco Ovidio Loi lasciando sulle scale esterne della sua abitazione una busta con tre proiettili. È arrivata la solidarietà di tutto l'universo politico sardo: governatore, presidente del consiglio regionale, Anci.

"Né io né la maggioranza abbiamo alcuna intenzione di tirarci indietro", ha detto Loi nel corso del consiglio comunale convocato qualche giorno dopo.

Non sempre gli amministratori hanno la forza e la voglia di resistere. Prendete il caso di Austis. Dove da cinque turni non si presenta nessuno alle elezioni. Lo scorso anno è successo anche a Putifigari, Ortueri, Sarule e Magomadas. Perché? Colpi di fucile al portone di casa, cani ammazzati, minacce di more scritte con grande evidenza sui muri del paese, terreni e campi devastati, lettere anonime, una testa di capretto infilata in una busta, con in bocca una cartuccia calibro 12 carica. Se agli attentati poi si somma il taglio delle risorse, che non bastano mai a garantire i servizi essenziali, i presìdi dello Stato che chiudono e lo spopolamento, il senso di impotenza sale. E si capisce perché nell'Isola si allunghi sempre di più la lista dei municipi governati da un commissario e non da un sindaco eletto dalla gente.

Nel mirino però non finiscono solo gli amministratori degli enti locali. A Bosa, per esempio, il bersaglio delle minacce e delle intimidazioni è Luigia Caiazzo, tenente di vascello che dallo scorso giugno guida l'Ufficio marittimo. Pochi giorni dopo il suo arrivo alla Guardia costiera bosana, qualcuno ha squarciato i tubolari del gommone di servizio, utilizzato per i controlli e i salvataggi in mare. A stretto giro sono arrivati gli insulti e le minacce di morte scritte su un lenzuolo, appeso al muraglione di fronte al comando marittimo. Odio e veleni contro una donna che ha semplicemente fatto il suo lavoro. Da quando è al timone della Guardia costiera di Bosa, sarebbero aumentate le sospensioni di patenti nautiche, le multe, i controlli sulla filiera del pescato e sulla pesca abusiva. Un giro di vite che ha portato diversi operatori a chiedere al sindaco di farsi carico della questione. Qualcuno però è andato oltre.
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