In un recente editoriale sul Corriere della Sera, Angelo Panebianco sostiene che il sovranismo italiano non è un modo, come quello francese, di difendere l'interesse nazionale, bensì di "difendere una tradizione di irresponsabilità finanziaria, di cui continua a dare l'esatta misura l'entità del nostro debito pubblico. Comprare (in deficit) il consenso di una parte degli italiani: questa fu la ragione per la quale la classe politica che fece naufragio nei primi anni Novanta aveva accumulato quel debito. Questa è la ragione per la quale esso è ancora con noi".

"E questa - prosegue - è anche la ragione dell'antieuropeismo militante che il Governo (in questo Lega e 5 Stelle marciano uniti) esibisce. La volontà di finanziare in deficit il consenso stabilisce la principale continuità fra tanti governi del passato e l'attuale. Per questo i gialloverdi vogliono allentare i vincoli europei".

Per Panebianco, l'antieuropeismo alla italiana serve a catturare consenso e "ricorda un vecchio film con Totò e Peppino: la 'Banda degli onesti'. Si tratta, in sostanza, di avere la libertà di andare in cantina a stampare moneta. Fin tanto che gli italiani continueranno a premiare questi comportamenti, non ci sarà una ripresa dello sviluppo economico".

Non solo, possiamo aggiungere, ma aumenterà sempre di più il rischio di finire nel vortice di una crisi finanziaria simile a quelle del 1992 (con la lira) e del 2011-12 (con l'euro). Lo spettro che oggi agita i mercati si chiama "Italexit".

Parliamo della messa in discussione da parte di entrambi i partner del governo gialloverde della nostra appartenenza alla moneta unica europea. Anche se formalmente essi rassicurano che un piano di uscita dall'euro non esiste, in realtà il loro comportamento resta molto ambiguo. Il Movimento 5Stelle aveva proposto anni fa un referendum sull'uscita dall'euro.

Anche se quella proposta è stata ufficialmente accantonata, lo scetticismo ricompare a giorni alterni nelle dichiarazioni di molti esponenti grillini, compreso Di Maio. La Lega si è espressa al riguardo in modo più netto. Sono dichiaratamente antieuro i due presidenti delle commissioni Bilancio e Tesoro di Camera (Borghi) e Senato (Bagnai). Il primo è l'ideatore dei mini-bot come moneta parallela per preparare l'uscita dall'euro, mentre il secondo parla della moneta comune come di “una catastrofe annunciata” e attribuisce all'Ue un atteggiamento “ricattatorio” e “mafioso”.

Bagnai è in predicato per andare a ricoprire la poltrona di ministro agli Affari europei lasciata libera da Paolo Savona, il teorico del Piano B per l'uscita dall'euro, che valuta sostenibile un debito al 200% del Pil. Contro Savona, all'atto del primo incarico a Conte, il presidente Mattarella pose il veto per impedire che diventasse ministro del Tesoro, proprio in ragione dei rischi antieuropei che la sua nomina avrebbe comportato. Perciò, Salvini e Di Maio, al di là delle dichiarazioni di facciata, non fanno altro che mandare segnali di ostilità verso Bruxelles e la moneta unica.

In questo quadro, anche l'eventuale nomina di Bagnai a ministro degli Affari europei verrebbe interpretata da Bruxelles come un pessimo segnale di guerra, da contrapporre ai tentativi del ministro dell'Economia Tria di trovare un compromesso con la Commissione Ue. Ma quanto costa questa ambiguità? Andrea Franceschi lo ha calcolato su Il Sole-24Ore in 86 punti base, pari al 39% dello spread totale, che l'Ufficio parlamentare di bilancio ha quantificato in 12,9 miliardi di maggiori interessi nell'arco di un triennio. Vale a dire 4,3 miliardi all'anno.

Altro che risparmi per finanziare la flat tax o disinnescare l'aumento dell'Iva. La propaganda antieuropea della Lega sta andando a sbattere contro l'opposizione di tutti gli altri Paesi europei e non è realistico che i ceti produttivi del Nord, che non hanno alcun interesse a fuoriuscire dalla moneta comune, diano l'ok a Salvini per l'Italexit. Né Salvini ha interesse a portare se stesso e l'intero Paese verso il burrone.

BENIAMINO MORO

DOCENTE DI ECONOMIA POLITICA, UNIVERSITÀ DI CAGLIARI
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