Una perizia psichiatrica valuterà se Giorgio Reciso al momento del delitto fosse "affetto da una patologia che possa aver influito, e in quale misura, sulle sue capacità di autodeterminarsi". È quanto disposto dalla Corte d'assise nel processo che vede il 41enne cagliaritano sotto accusa per l'omicidio di Joelle Maria Giovanna Demontis, uccisa a 58 anni il 9 settembre 2017 nell'appartamento di via Dei Donoratico nel quale viveva con l'imputato e la 27enne Marta Dessì: la vittima era stata colpita con un tubo in ferro durante una lite maturata, secondo il pm Daniele Caria, in un clima di violenza e controllo di Reciso sulle due donne. I soccorsi erano intervenuti alle 3,30 del mattino, mentre l'episodio - secondo il medico legale Roberto Demontis - risaliva a prima delle 19. La ragazza è stata già condannata a 10 anni.

IL COMPLOTTO - In precedenza l'imputato aveva spiegato dove aveva conosciuto Demontis e Dessì (alla Caritas in viale Fra Ignazio), ribadito il suo ruolo "importante", sostenuto che le donne fossero "innamorate" di lui, spiegato dei "complotti" ai suoi danni "per fermarmi", orditi da parte di chi lavorava lì e da qualcuno delle forze dell'ordine (con nomi e cognomi segnati dalla Corte). Fino alla decisione di andare via e accogliere Dessì in via Dei Donoratico. Entrambe "litigavano anche quando non c'ero, dividerle era difficile. Joelle era convinta che io propendessi per Marta, forse perché più giovane. Assolutamente, non la volevo. Dovevo sposarmi con lei". Però le nozze con la 27enne erano saltate solo il giorno prima delle pubblicazioni. Quindi il resoconto del delitto.

L'OMICIDIO - Due le aggressioni quel giorno. La prima quando la 58enne torna dal Tribunale. "Marta pensava di essere stata denunciata. Si erano afferrate". Demontis, "una chiazza sulla spalla", esce ma torna poco dopo e va sotto la doccia. Lui vede Dessì "correre in bagno per un'urgenza". Sente "lamentele, insulti e un colpo". Demontis indica la ragazza: "È stata lei col soffione della doccia". Mentre controlla i danni, sente altri rumori. Corre in camera e vede Dessì china su Demontis con in mano un tubo in ferro, "la prolunga di un letto a castello", pronta "a dare un altro colpo" o a "sollevare la mano dopo averlo dato". Sono "le 18". Allontana Dessì e aiuta Joelle, "che però non sembrava grave. Volevo chiamare i soccorsi ma lei no, diceva si sarebbe ripresa". Poi le condizioni diventano "critiche. Respirava, mi guardava. Non poteva essere vero ciò che stava accadendo. Passava il tempo e non mi rendevo conto". Il 118 viene chiamato con fatale ritardo. Reciso e Dessì si accordano: "Lei non voleva assumersi la responsabilità e mi minacciava. Ma mi amava. Dovevo dire che Joelle l'aveva aggredita e lei si era difesa. Non l'ho fatto". Gli investigatori però avevano scoperto che la coppia aveva tentato di pulire la casa per eliminare le tracce dell'aggressione. E i due erano finiti in cella.
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