Tre anni senza Giulio Regeni, tre anni di indagini e ricerche che ancora non hanno restituito i nomi di chi ha ordinato, eseguito e coperto l'omicidio del giovane ricercatore italiano, rapito e brutalmente torturato in Egitto.

Alle 19.41 di domani, venerdì 25 gennaio, in oltre 100 piazze italiane migliaia di luci saranno pronte ad accendersi nel ricordo dello studioso sparito al Cairo.

A promuovere l’iniziativa Amnesty International Italia, che con l’occasione spiega come il nome di Regeni si aggiunge, purtroppo, a quelli dei tanti egiziani e delle tante egiziane vittime di sparizione forzata.

"Da tre anni – spiega Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International Italia – centinaia di migliaia di persone insieme a enti locali, università, scuole e associazioni chiedono la verità per Giulio Regeni. Abbiamo una speranza: che non ci sia un quarto 25 gennaio senza che siano state accertate per via giudiziaria le responsabilità per la sparizione, la tortura e l’uccisione di Giulio. Continuiamo a chiedere quella verità a due governi: quello italiano che deve reclamarla con azioni più decise e quello egiziano che deve fornirla senza ulteriori ritardi".

In Sardegna l'appuntamento per domani è a Cagliari, in piazza Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

A partire dalle 18.30 è prevista la cerimonia, in collaborazione con il consiglio comunale, che prevede anche l’inaugurazione di una panchina gialla con targa "Verità per Giulio Regeni". A seguire l'accensione delle candele e il minuto di silenzio, alle 19.41 precise.

Giulio Regeni (Ansa)
Giulio Regeni (Ansa)
Giulio Regeni (Ansa)

LE INDAGINI - A tre anni dall'omicidio Regeni la "giustizia per Giulio" chiesta a gran voce dalla famiglia e da migliaia di cittadini ancora non c'è. Dal 2016 le indagini sono andate avanti, tra mille difficoltà, fino all'iscrizione sul registro degli indagati di cinque agenti egiziani, ma una verità giudiziaria sul caso è ancora lontana, nonostante i - pochi - tentativi di pressione politica sul Cairo e i tanti annunci di collaborazione con l'Egitto che si sono susseguiti negli anni, ultimo in ordine di tempo quello del vicepremier Matteo Salvini che ribadisce di essere "fiducioso" e di voler "chiedere all'Egitto con ancora maggior forza la verità".

Il presidente della Camera Roberto Fico in una lettera indirizzata ai suoi omologhi in Ue ha chiesto un contributo "al percorso di ricerca della verità e giustizia".

I FATTI - Era la sera del 25 gennaio 2016 quando Giulio Regeni è improvvisamente scomparso: il suo corpo martoriato è stato trovato nove giorni dopo, lungo la strada che collega Alessandria a Il Cairo. Nelle prime settimane dopo il ritrovamento del corpo, tante false piste si sono susseguite: prima si è parlato di un incidente stradale, poi di una rapina finita male, e ancora che il giovane fosse stato ucciso perché ritenuto una spia, poi che fosse finito in un giro di spaccio di droga, di festini gay, di malaffare che l'aveva portato a farsi dei nemici.

Il padre e la madre di Giulio Regeni, con i legali e rappresentanti di Amnesty (Ansa)
Il padre e la madre di Giulio Regeni, con i legali e rappresentanti di Amnesty (Ansa)
Il padre e la madre di Giulio Regeni, con i legali e rappresentanti di Amnesty (Ansa)

TRE ANNI DI RICOSTRUZIONI - A un mese dalla morte di Giulio alcuni testimoniarono di averlo visto litigare con un vicino che gli aveva giurato morte.

Il 24 marzo del 2016 l'ennesima ricostruzione, non credibile, che faceva riferimento a cinque criminali comuni uccisi in una sparatoria con ufficiali della National Security egiziana, alla periferia del Cairo. I documenti di Giulio furono trovati quello stesso giorno in casa della sorella del capo della presunta banda e si disse che i cinque erano legati alla morte del giovane.

In un clima del genere, il procuratore Giuseppe Pignatone e il pm Sergio Colaiocco, hanno seguito il lavoro dei colleghi cairoti e coordinato le indagini di Ros e Sco. Dalle verifiche è emerso che il ricercatore era attenzionato da polizia e servizi segreti già settimane prima del rapimento. Inoltre, le analisi sui tabulati hanno messo in luce i numerosi contatti telefonici tra gli agenti che si occuparono di tenere sotto controllo Giulio tra dicembre 2015 e gennaio 2016, e gli ufficiali dei servizi segreti coinvolti nella sparatoria con la presunta banda di criminali uccisi nel marzo 2016 a cui gli egiziani provarono ad attribuire l'omicidio.

A distanza di tre anni, chi indaga in Italia è convinto che Giulio sia stato torturato e ucciso dopo esser stato segnalato come spia alla National Security dal sindacalista degli ambulanti, Mohammed Abdallah, con il quale era entrato in contatto per i suoi studi. L'uomo chiedeva a Giulio di poter usare a fini personali, in modo illegale, una borsa di studio che il giovane, grazie a una fondazione britannica, voleva far arrivare al sindacato.

La richiesta di Abdallah e la risposta di Giulio sono state immortalate in un video, girato dal sindacalista nel dicembre del 2015 con una telecamera nascosta, probabilmente su richiesta della polizia.

Secondo chi indaga, potrebbe esser stato proprio il rifiuto di dare illegalmente quei soldi a segnare il destino di Giulio: il sindacalista, dopo aver capito di non poter ottenere nulla dalla sua borsa di studio, l'avrebbe "venduto" come spia alla National Security per accreditarsi come informatore adeguato.

I cinque agenti finiti a dicembre nel registro degli indagati, a Roma, sono ufficiali appartenenti al dipartimento ai servizi segreti civili e all polizia investigativa del Cairo e rispondono di sequestro di persona in concorso.

(Unioneonline/v.l.)
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