Questa fase di gestione dell'epidemia pone a noi medici nuove problematiche a partire dalla necessità che i dispositivi di protezione individuale e i tamponi ricorrenti vengano garantiti al personale ospedaliero nonché ai medici che operano nei territori. Gli ambulatori di medicina generale devono essere dotati delle stesse protezioni previste per gli ospedali.

L'emergenza richiede nuove strategie che sfuggono al Ministero della Salute, alle Regioni e all'Istituto Superiore di Sanità.

Resta insoluto il problema della gestione del paziente dal contagio all'ospedalizzazione. Infatti si sottovaluta il ruolo che i medici di base potrebbero avere nel monitoraggio della salute del paziente e nella terapia a domicilio. Diagnosi precoci limiterebbero le complicanze spesso letali e i ricoveri in terapia intensiva. Basterebbe dotare i medici di base di mezzi di protezione e di linee guida sulle terapie domiciliari.

Manca un piano per le emergenze. Ancora oggi pandemie influenzali severe colpiscono la popolazione mondiale con letalità elevata. Secondo i dati dell'Istituto Superiore di Sanità al virus dell'influenza ogni anno in Italia, si devono dai sei ai dodicimila decessi di cui poco si parla. I decessi da Covid 19, a oggi, sono oltre quindicimila, un dato che potrà essere confermato solo dopo che l'Istituto Superiore di Sanità avrà stabilito la causa reale dei decessi.

Non esistono virus buoni e virus meno buoni. I virus sono imprevedibili e per la rapidità evolutiva possono generare nuove emergenze a cui dare risposte. Le epidemie si contengono con i mezzi e i mezzi li abbiamo persi in gran parte con i tagli indiscriminati alla Sanità pubblica. L'incontrollabilità del Covid 19 è il banco di prova degli effetti dei tagli di posti letto, di interi ospedali, di medici, di infermieri, della ricerca e delle Università.

Mancano le dotazioni indispensabili: dispositivi di protezione individuale, ventilatori, posti letto, reagenti. Ma manca sicuramente una visione globale della gestione delle epidemie.

In questa fase è indispensabile restituire ai territori gli ospedali pubblici. Non basta chiudersi in casa, non bastano i tamponi e i prelievi sierologici. Non sono indispensabili le tendopoli per il triage, né l'occupazione di posti letto dedicati ad altre emergenze.

Bisogna riaprire i reparti chiusi a partire da quelli più organizzati con personale dedicato (esemplare il caso del Binaghi a Cagliari), abolire il numero chiuso in Medicina e agevolare i giovani medici nelle scuole di specializzazione.

È inquietante altresì constatare che il decesso di 80 medici e di 25 infermieri abbia ispirato il tentativo, a colpi di emendamenti in Senato, di deresponsabilizzare i datori di lavoro, tra cui aziende ospedaliere, sul piano civile, penale, contabile e da rivalsa in caso di contagi e decessi di personale sanitario non dotato di dispositivi di protezione adeguati.

Claudia Zuncheddu - Medico Cagliari

(Rete sarda difesa sanità pubblica)
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