Annuncio della Russia a parte, bene che vada il vaccino anti Covid dovrebbe arrivare alla fine dell'anno e adesso - con la risalita dei contagi e la paura di una seconda ondata dell'epidemia in autunno - l'avvento di un farmaco per l'immunizzazione sarà davvero l'unico rimedio contro il dilagare del virus. Oggi come ieri, l'unica vera arma contro le infezioni di qualunque origine. Un'intuizione che - ben prima della scoperta del vaccino vero e proprio, alla fine del Settecento, dovuta al medico inglese Edward Jenner - sembra risalire molto indietro nel tempo, agli antichi testi di medicina indiana e degli eruditi cinesi. In ogni caso, il primo a osservare e a testimoniare il fenomeno dell'immunità acquisita nei confronti di una malattia è stato lo storico Tucidide che raccontò della peste di Atene nel 430 avanti Cristo. "Il male - scrisse - non aggrediva mai due volte, o almeno l'eventuale ricaduta non era letale".

Un concetto, quello della immunizzazione, che in ogni parte del mondo le popolazioni impararono prima di tutto per esperienza, e fu riguardo al vaiolo che la medicina tradizionale trovò un rimedio che simulava i processi naturali dell'organismo per indurre una protezione preventiva. Poiché si era constatato che chi sopravviveva all'infezione non veniva più colpito dallo stesso male, si cominciò a praticare la variolizzazione, in pratica l'inoculazione in individui sani del siero prelevato dalle pustole dei malati in via di guarigione. Un secondo metodo, di derivazione cinese, prevedeva invece l'inalazione della polvere di croste. È vero che una certa percentuale delle persone trattate moriva, ma i più - contratta una forma lieve dell'infezione - guarivano.

Fu una scrittrice e nobildonna inglese, lady Mary Wortley Montagu, a importare questa pratica in Europa e a inaugurare quella che può essere definita la prima campagna su larga scala di promozione del vaccino. Erano gli albori del Settecento e nel Vecchio Continente le cicliche epidemie di vaiolo mietevano milioni di vittime, mentre i sopravvissuti si ritrovavano col viso deturpato. Lady Montagu - ch'era essa stessa una dei sopravvissuti al male - aveva scoperto la variolizzazione nel 1717 a Costantinopoli, il cuore dell'Impero Ottomano, dove il marito era stato inviato come ambasciatore. Aveva allora 28 anni, frequentava le signore delle classi più altolocate ma anche gli ambienti più popolari, e si appassionò ben presto agli usi locali. Notò una pratica che subito le si era rivelata in tutta la sua importanza. All'inizio dell'autunno, le donne anziane facevano il giro delle case portando con sè un guscio di noce colmo del pus di vaiolo raccolto dalle pustole dei convalescenti. Facevano un trattamento a quanti lo richiedevano: eseguita un'incisione a croce su cinque punti del corpo del paziente, iniettavano il siero e poi chiudevano la ferita. Ne seguiva la febbre dopo qualche giorno, e poi la comparsa di qualche bubbone che non avrebbe lasciato cicatrici.

A lady Montagu sembrò un miracolo. "Il vaiolo - scrisse all'amica Sarah Chiswell - così diffuso e così fatale da noi, qui è stato reso del tutto innocuo grazie all'invenzione dell'innesto". Aveva provato in prima persona il dolore e ne portava i segni sul volto, sulle guance butterate e nelle palpebre rimaste senza ciglia, perciò decise - contro il volere del marito - di sottoporre al trattamento suo figlio e poi, una volta rientrata in Inghilterra, anche la figlia. Era l'anno 1721 e Londra era sotto la morsa di una devastante epidemia di vaiolo. Mary Montagu aveva sperimentato sulla sua famiglia una pratica che riteneva decisiva per l'eradicazione di quel flagello, quale prova migliore per dimostrarne la bontà? Cominciò così la sua campagna per la variolizzazione e non esitò a cercare l'appoggio di amici e conoscenti che potevano trovarle spazio nei giornali a larga tiratura. Pensò che una grande alleata poteva essere Carolina di Ausbach, la principessa del Galles che aveva espresso l'intenzione di immunizzare i figli ma era indecisa. Così, per tranquillizzare Sua Altezza Reale, si pensò di fare nuovi esperimenti. Il pus venne inoculato su sei condannati a morte: ebbero la febbre, qualche pustola, guarirono e infine, come ricompensa, furono liberati. Ottimo anche l'esito della procedura su cinque bambini dell'orfanotrofio. La principessa Carolina fece variolare i figli e da quel momento la pratica cominciò a diffondersi incontrando soprattutto il favore dell'aristocrazia. Negli anni e nei decenni successivi tanti personaggi illustri - da Voltaire in Francia al generale George Washington in America - ne decantarono i vantaggi, il primo ricordando che "salvava la vita e la bellezza delle donne", il secondo ordinando l'immunizzazione di massa delle sue truppe. Nel 1746 in Inghilterra gli interventi erano talmente tanti e le richieste in continua crescita che a Londra venne aperto uno Smallpox and Inoculation Hospital. Certo non mancò chi si opponeva a questa pratica, i baroni della medicina e la Chiesa, ma ormai il concetto era passato. Sul finire del secolo, nel 1796, il medico inglese Edward Jenner - considerato il padre degli studi immunologici - mise a punto il vaccino contro il vaiolo. La guerra a questo flagello dell'umanità era cominciata e sarebbe stata davvero lunga: l'Organizzazione mondiale della Sanità, infatti, riuscì a dichiarare l'eradicazione del vaiolo solo nel 1980.
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