Di fronte alle difficoltà della vita e dei tempi in cui ci è dato vivere possiamo reagire in molti modi. Possiamo abbandonarci allo sconforto, cedere al cinismo di chi pensa che nulla possa essere fatto per migliorare le cose. Possiamo cedere all'egoismo o, peggio, all'indifferenza. Marco Garzonio, giornalista e psicologo analista, ci propone invece la via del coraggio, della resistenza non passiva ma attiva affinché tempi e situazioni mutino. Ci propone un via basata sulla fiducia nella capacità dell'uomo di risollevarsi da ogni caduta e agire con generosità, altruismo, solidarietà, ingegno. Agire, insomma, da essere umano e non da belva feroce o da animale che mira alla semplice sopravvivenza.

Sono questi i temi forti che ritroviamo nella raccolta poetica Beato è chi non si arrende (Ancora, 2020, pp. 136, anche e-book), ultima tappa di una trilogia iniziata nel 2015 con Siamo il sogno e l’incubo di Dio e proseguita due anni dopo con I profeti della porta accanto. A Marco Garzonio chiediamo, per incominciare, perché chi non si arrende è beato:

"Perché non arrendersi è una virtù. Lo era già prima del Coronavirus, lo è ancora di più oggi, dopo un'emergenza come quella che abbiamo vissuto. Il grande tema con cui dobbiamo confrontarci è quello della continuità, della memoria, della consapevolezza del tempo e dei valori, che permangono e per i quali vale la pena di vivere. Non per nulla ho dedicato il libro alla mia generazione, una generazione che è nata con la Seconda guerra mondiale e non si è arresa".

Non arrendersi basta a cambiare il mondo?

"In apertura ho voluto mettere una citazione di Albert Camus: ‘Ogni generazione, senza dubbio, si crede destinata a rifare il mondo. La mia sa che non lo rifarà. Il suo compito è forse più grande: consiste nell’impedire che il mondo si distrugga’. Camus disse queste cose nel 1957 ma il suo messaggio vale ancora oggi. Non arrendersi significa sottrarsi a tutta una serie di condizionamenti e mentalità collettive che potrebbero portarci a dire: ‘Pazienza, non c’è nulla da fare’. Invece si può sempre fare qualcosa, almeno per non contribuire alla distruzione. Anche, semplicemente, rendendosi autonomi nel pensiero e nel giudizio, non cedendo ai condizionamenti. Già questo significa cambiare qualcosa".

Nel libro traspare un'incrollabile fiducia nell'uomo. Ma veramente bisogna fidarsi dell'essere umano?

"Non farei il mestiere di psicologo analista e non scriverei nemmeno se non avessi fiducia nell'uomo. Ho fiducia nella capacità dell’uomo di riprendersi. Siamo riusciti a risollevarci dopo Auschwitz, dopo tragedie enormi, quindi credo che l’essere umano abbia dentro di sé la capacità di autoguarigione della psiche. C'è nell'uomo, insomma, una capacità di trovare dentro di sé energie sufficienti per ripartire anche nei momenti più tragici".

Eppure, sembra esserci molta indifferenza nella nostra società, a meno che non si venga toccati direttamente da un problema…

"Assolutamente, c'è molta indifferenza ed è una cosa tremenda che attraversa i nostri tempi. L'indifferenza è peggio della violenza perché è subdola, quasi impalpabile. Muoiono delle persone attraversando il Mediterraneo? Alla fine a chi interessa dato che non ci tocca da vicino e certe politiche magari ci favoriscono? In questo momento storico c'è una sola personalità che continua a parlare di intelligenza collettiva ed è papa Francesco".

Che però, per quanto popolare, non è che venga granché ascoltato. La sua enciclica ecologista, la Laudato sì, alla fine è caduta nell’indifferenza o sbaglio?

"Nell’assoluta indifferenza. Grandi plausi, grandi dichiarazioni di apprezzamento, poi, come nel Gattopardo, si è fatto in modo che tutto cambiasse per rimanere uguale. Ma la cosa più insidiosa sono gli attacchi di tipo teologico a papa Francesco, da parte della destra non solo americana. Siccome non si vuole fare nulla per preservare l'ambiente, le risorse, la dignità dell’uomo, allora si dice che il pontefice deve occuparsi solo di cose spirituali, non deve andare nel concreto".

La poesia oggi non è proprio di moda. Non rischia allora di cadere nell’indifferenza un messaggio lanciato con linguaggio poetico come ha scelto di fare nel suo libro?

"Certo, ricorrere alla poesia è rischioso ma se non si rischia alla fine non si fa nulla! E allora rischiamo, anche perché il linguaggio poetico quando riesce ad arrivare colpisce maggiormente di un ragionamento fatto in un saggio. Magari mi leggeranno in pochi, ma niente come la poesia sa parlare a cuore e mente".

Quindi ne vale comunque la pena?

"Certo, vale sempre la pena. E finché riesco e mi viene da scrivere vado avanti!".
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