Immaginare il futuro del lavoro significa quasi automaticamente evocare scenari catastrofici: macchine al posto degli esseri umani, sistemi di automazione che stravolgeranno i processi produttivi, computer usati per controllare la produttività. Insomma, il lavoro del domani viene quasi sempre raccontato in un’ottica di scontro tra uomo e macchina, un’ottica molto tradizionale. Viceversa, manca la narrazione di come il lavoro di domani inciderà sulle nostre vite, di come le persone gestiranno tempo e spazi, di come evolveranno le relazioni, le identità e i modi di cercare un impiego. Manca una visione al femminile dell'universo occupazionale come sostiene Silvia Zanella nel suo Il futuro del lavoro è femmina (Bompiani, 2020, pp. 208, anche e-book). Ma cosa si intende per visione femminile del lavoro? Lo chiediamo proprio a Silvia Zanella:

"Già dal titolo ho voluto mettere al centro una nuova visione del lavoro che contemplasse una prospettiva al femminile, ma che non riguarda solo le donne ma anche gli uomini. A mio parere ci sono, infatti, ben tre motivi per cui il futuro del lavoro sarà femmina".

E quali sono?

"Il primo riguarda il tema delle competenze che si dovranno avere in un mondo del lavoro sempre più dominato dall'automazione e dalla robotica. Le competenze che serviranno in futuro sono le soft skills, attitudini difficilmente replicabili dalle macchine, come la predisposizione alla soluzione dei problemi, la capacità di lavorare in gruppo, il saper puntare sulla comunicazione interpersonale, e ancora creatività, negoziazione, gestione delle aspettative, fiducia, condivisione. Queste sono le cosiddette human skills e vengono attribuite solitamente al lavoro al femminile. Non significa però che siano competenze appannaggio solo delle donne. Significa che chi vorrà trovare spazio nel mondo del lavoro, uomo o donna che sia, dovrà possedere queste competenze".

Il secondo motivo?

"Riguarda i modi di lavorare. C'è grande dibattito sulle statistiche occupazionali, sugli scenari tecnologici, sulla disoccupazione di massa ma c'è poca attenzione su come il metodo di lavoro impatta sulla vita delle persone. Lo dimostra il dibattito di questo periodo sullo smart-working: si può mettere a disposizione la migliore tecnologia per il lavoro a distanza ma le cose non funzionano se non c'è una diffusa cultura dello smart-working, se non c'è la giusta cultura della gestione degli spazi, dei tempi, se non si assicura comunque ai lavoratori identità e crescita professionale. Non si può passare improvvisamente da un tipo di organizzazione aziendale legata al 'comand and control', cioè a compiti assegnati da svolgersi in un tempo determinato, a una situazione opposta, di autogestione del lavoro. Però il sistema del 'comand and control' non funziona più, nell'epoca del lavoro intellettuale. Ci vuole un'attenzione diversa, più femminile, un'attenzione che mette in gioco valori come l'etica, l'inclusività, l'attenzione all'altro, il rovesciamento della piramide classica delle gerarchie all'interno delle organizzazioni, una diversa concezione del proprio essere professionisti. Femminili saranno i modi di organizzare le aziende, perché le gerarchie rigide e il comando verticale non funzioneranno più in uno scenario complesso, veloce e incerto. Poi ci vuole più attenzione agli impatti del lavoro sulla vita delle persone".

E questo è il terzo motivo per cui il lavoro è femmina?

"Sì. Abbiamo dato troppa attenzione ai fenomeni macroscopici legati ai cambiamenti del mondo del lavoro e ci siamo dimenticati dei singoli. Dobbiamo recuperare la consapevolezza dell’importanza dell’apporto umano, individuale delle persone. E le donne sanno essere più efficaci perché riescono far leva sulle competenze emotive e relazionali molto più degli uomini".

Come ci si prepara per un futuro in cui servono competenze di questo tipo?

"Credo che ci sia bisogno di cambiamenti a più livelli. Devono cambiare le persone, le aziende e i manager. Devono cambiare le famiglie e la società. Principalmente le persone devono entrare in un'ottica di apprendimento permanente. Non può bastare quello che si è appreso all'università e svolgere le stesse mansioni per decenni può diventare una noia mortale e fonte di frustrazione. Bisogna invece porsi in un'ottica di adattabilità per non essere spiazzati dai continui cambiamenti del mondo del lavoro. Quindi va benissimo la fabbrica di liquori che di fronte all’emergenza sanitaria si mette a produrre disinfettante, però questa duttilità ci deve essere anche all’interno delle aziende, dal punto di vista organizzativo. Non si deve fermare il cambiamento in nome del fatto che si è sempre agito in un determinato modo. Spesso quel modo non funziona più e lo vediamo nel momento in cui aziende perdono efficienza e hanno dipendenti che odiano il lavoro che fanno. Questo è spreco di energie e risorse. Inoltre, ci dimentichiamo troppo spesso che il lavoro non è solo qualcosa che tiene occupati e mette a disposizione il necessario per vivere. È qualcosa che definisce l’identità delle persone. Dobbiamo fare in modo che le persone ritornino a sentire la loro occupazione come un valore".

Un’ultima domanda: su cosa dobbiamo scommettere se vogliamo poter lavorare domani?

"Credo di poter citare quello che ho scritto nel mio libro: 'Se potessi lasciare ai lavoratori del futuro solo poche righe, pochi bit di informazione per affrontare al meglio le sfide che ci attendono, scommetterei su questi propositi: siate accoglienti, morbidi, flessibili, siate gentili, trasparenti, aperti, studiate, studiate ancora, non smettete mai di studiare, cooperate, condividete, ascoltate, immaginate, coltivate relazioni, ambienti, fiducia, prendetevi a cuore, prendetevi cura di voi e degli altri. Tutto questo, a prescindere dal fatto che siano maschi o femmine'".
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