Sono dappertutto. Nei cibi che mangiamo, nell’aria che respiriamo, nell’acqua che beviamo. Persino in fondo al mare, laggiù nelle profondità dove l’uomo cala le reti per pescare pesci e crostacei, fonte importante di sostentamento. Ebbene, anche gli abissi fanno i conti con l’inquinamento dalla plastica. O meglio, dai minuscoli frammenti di pochi millimetri difficili da vedere a occhio nudo ma presenti sul fondale, in acqua libera, e negli organismi animali che popolano le profondità del mare.

Un inquietante allarme partito dalla Sardegna e messo nero su bianco sulla prestigiosa rivista internazionale Environmental Pollution.

È qui che cinque ricercatori e docenti del Dipartimento di Scienze della vita e dell’ambiente dell’Università di Cagliari, Alessandro Cau, Claudia Dessì, Davide Moccia, Cristina Follesa e Antonio Puddu, hanno raccontato il loro lungo e complesso studio, la scoperta di come le microplastiche siano finite negli apparati digerenti di scampi e gamberi viola, in queste due importanti specie dall’alto valore commerciale e alimentare che vivono nel mare della Sardegna.

L’indagine, condotta in stretta collaborazione con gli scienziati dell’Università Politecnica delle Marche, ha preso in esame quattordici aree intorno all’Isola, siti privilegiati per la pesca del gambero viola e dello scampo, sfruttate sia dai pescatori sardi dello strascico ma anche da marinerie d’oltre Tirreno. I due crostacei vivono a profondità comprese tra i 270 e i 660 metri ed è qui che sono stati catturati per poi essere esaminati.

Il gruppo di ricerca dell’Ateneo cagliaritano aveva quasi la certezza dei risultati, non fosse altro che ricerche precedenti svolte da studiosi di altri Paesi avevano dimostrato la presenza massiccia delle microplastiche in fondo al mare, ma anche e soprattutto negli stomaci di numerosi organismi marini, pesci compresi. L’ipotesi che anche le due specie di crostacei potessero contenere particelle di questo materiale altamente inquinante (ogni anno finiscono negli oceani tra i cinque e i 15 milioni di tonnellate di plastica) è stata ben presto confermata.

Altissima e preoccupante è stata la quantità di poliestere, polipropilene e poliamide ingurgitato dai gamberi e dagli scampi. Tra questo cibo insidioso, negli apparati digerenti dei crostacei è stato anche scoperto, per il 60 per cento della quantità complessiva, il polietilene, il più usato per confezionare imballaggi e plastica monouso.

Le microplastiche, i ricercatori universitari le hanno individuate nel 60-83 per cento dei crostacei presi in esame. Dai loro apparati sono stati estratte particelle dal messo millimetro ai due. In alcuni esemplari sono infine state scoperti addirittura 42 microparti. Inquinanti che poi finiscono nella catena alimentare fino all’uomo.

Secondo ricercatori australiani dell’Università di Newcaste, i crostacei, dopo l’acqua di rubinetto e le bevande in bottiglia sarebbero la secondo maggiore fonte di ingestione di microplastiche nell’organismo. Così aveva parlato Kieran Cox, autore della ricerca: "Di gamberi, aragoste, scampi, astici e mazzancolle viene mangiato tutto, compreso il loro apparato digerente".

Dunque anche quei millimetrici residui di plastica che - secondo gli scienziati australiani autori di ben 52 ricerche sul campo sulle stime di ingestione della plastica nel mondo – mostrano datti allarmanti. Ogni essere umano ingerirebbe in media 1769 particelle di microplastica a settimana bevendo acqua.

"Cinque grammi di microplastiche finiscono nei nostri organismi ogni settimana. Il peso di una carta di credito".
© Riproduzione riservata