Dei malanni italiani si occupa ormai da tempo portando ogni settimana negli studi del programma "Di Martedì" protagonisti della vita politica e osservatori doc del Belpaese, ma nel suo libro "Ultimo banco" (Solferino Editore) il giornalista Giovanni Floris ha voluto focalizzare l'attenzione sul mondo della scuola, dopo un viaggio-inchiesta lungo l'Italia, che l'ha portato a incontrare docenti e studenti e a raccogliere le loro storie dolci- e amare. Per rendersi conto che la salvezza del nostro Paese sta in gran parte nella rivalutazione - o nella rinascita - di quel fondamentale teatro di crescita e formazione che è appunto la scuola.

C'era una volta la scuola che insegnava a vivere... E oggi?

"Nel libro ho voluto tracciare un quadro generale del mondo della scuola prendendo in considerazione i tre punti di vista dei docenti, dei genitori e degli studenti, e l'esperienza conferma la mia idea che la scuola sia l'istituzione più importante di una nazione, perché fornisce ai cittadini gli strumenti gli strumenti per risolvere i problemi della vita quotidiana come quelli della collettività. Se non le si riconosce questo ruolo, la collettività ne risente. Un ruolo che abbiamo disconosciuto, quello della formazione e insieme quello di chi insegna, e il primo passo della rivalutazione passa proprio dai docenti, da un aumento dei loro stipendi, un segno concreto di riconoscimento del loro valore e del fatto che ci siamo accorti di averne dimenticato l'importanza".

Dove e quando è iniziata la perdita di autorevolezza del sistema scuola e dei suoi rappresentanti principali?

"È difficile dire da quando, di certo ci siamo in mezzo, perché abbiamo perso la fiducia nell'elemento culturale e di tutto ciò che è sapere, il fulcro di quanto ci tramanda la scuola. Sono sempre stato convinto che possa essere ignorante anche una persona con più lauree, perché ignorante è chi non capisce il mondo intorno a sé, e di contro può capirlo bene anche chi non ha studiato, perché ha viaggiato o perché attraverso il lavoro ha avuto gli strumenti per conoscere. Ma è indubbio che la scuola ci offra strumenti per capire con più facilità il mondo attraverso una rete di professori titolari del sapere di chi ci ha preceduto, e se tu perdi questa capacità, perdi anche la possibilità di governare il tuo Paese. Non so dire se sia stata la politica a perdere di vista la scuola o se la scuola abbia smesso di formare dei buoni politici, so, però, da dove bisogna ripartire: dai professori, cosicché facciano ripartire l'amore per il sapere".

Lezione in classe
Lezione in classe
Lezione in classe

Siamo nel cinquantennale del '68: quella stagione ha fatto male alla scuola italiana?

"È una non questione, con una battuta direi che è uno di quei dibattiti che possono servire nei momenti di 'vacche grasse', mentre oggi ci troviamo in un momento davvero drammatico, di grave perdita di autorevolezza della scuola e dei professori, ma soprattutto del 'prodotto' che ci offrono".

Pesa il fatto che si sia rotto il patto docenti-genitori nella formazione dei ragazzi?

"Oggi molti genitori vivono la scuola un po' come fossero dei 'clienti': 'io ti porto i miei figli, trattameli bene, mi raccomando, non mettergli brutti voti perché rischi di compromettere il loro futuro', invece di pensare 'insegna loro come si vive perché abbiano un futuro'. C'è un rapporto col professore che non è più basato sul rispetto, né aiuta il mondo fuori dalla scuola, quello in cui si ritrovano gli studenti, che non riconosce più il valore dell'insegnamento. Ecco perché più che ragionare sull'origine, sessantotto o meno, è importante prendere atto della drammaticità dell'evento e ripartire dando fiducia, autorevolezza e - ribadisco - migliori stipendi ai professori".

Un po' come se la scuola per certio genitori fosse un parcheggio obbligato tra l'infanzia e l'affermazione dei propri figli nel mondo del lavoro.

"Per certi genitori sembra quasi un ostacolo, con il dubbio che la scuola possa 'rovinare' i propri figli. Al limite alla scuola si chiede di esser utile a trovare un posto di lavoro, e questo è un errore gravissimo della politica, perché la scuola non ha certo questo scopo, ma quello di insegnarti a vivere bene, e sapendo vivere bene potrai trovare poi il tuo posto di lavoro. Quella che la scuola sia una sorta di apprendistato o un parcheggio è un'idea talmente distorta che bisogna intervenire".

Se il fine comune è quello di formare perché non c'è più collaborazione tra genitori e docenti?

"È saltato il rispetto per la competenza, e la politica ne è lo specchio più evidente, si pensi alla questione dei vaccini: chi è un medico per dirmi se io devo o meno vaccinare mio figlio? O la vicenda dei vincoli economici: chi sono le istituzioni di Bruxelles per dirmi che devo avere dei vincoli di bilancio? Ecco, in piccolo lo stesso vale per i professori: chi sei tu per valutare mio figlio? La competenza ha perso valore e con essa l'autorità delle istituzioni, e così un parlamentare diventa uno che io pago, un mio dipendente, e un senatore uno che non serve e quindi basta dire 'aboliamolo'. Assodato che ci sono delle colpe da parte dei politici come dei professori, non è più il momento di domandarsi di chi sia la colpa, piuttosto è ora di tirare una riga e ricostruire l'autorevolezza delle istituzioni, del sapere e dell'istruzione. E tutto parte dalla scuola".

Alunni in una classe di Rumanedda, Sassari. Courtesy Archivio ETFAS oggi Agenzia Laore Sardegna, foto di Elio Poddighe
Alunni in una classe di Rumanedda, Sassari. Courtesy Archivio ETFAS oggi Agenzia Laore Sardegna, foto di Elio Poddighe
Alunni in una classe di Rumanedda, Sassari. Courtesy Archivio ETFAS oggi Agenzia Laore Sardegna, foto di Elio Poddighe

Forse servirebbe più dialogo tra docenti e genitori?

"Ogni occasione di partecipazione e incontro con le istituzioni sia sempre benvenuta, ma il problema non è la mancanza di dialogo, quanto quello del riconoscimento del ruolo. Una volta riconosciuto, allora il dialogo sarà proficuo, ma deve partire dal fatto che ognuno faccia il proprio lavoro, professori e genitori".

In più, nella scuola pubblica il professore è pubblico ufficiale, un rappresentante dello Stato.

"Sì certo, però mi preoccupa più la sostanza, di fronte ai casi di bullismo vediamo concretizzarsi la mancanza di rispetto in una forma violenta, accompagnata spesso da una forma più sottile che va fuori dalle aule scolastiche".

In uno degli incontri raccontati nel libro uno studente le dice che "bullismo è quando esageri": dovremmo imparare da loro a gestire il fenomeno?

"Sono più smaliziati di noi, più 'uomini di mondo' e questo è un esempio tra i tanti che ho raccolto che dà fiducia nelle nuove generazioni. È vero che noi genitori dobbiamo insegnare le regole e il rispetto delle differenze, spesso in maniera molto forzata, poi starà ai nostri figli cogliere le sfumature, però l'insegnamento funziona meglio se è ben marcato".

Dietro questa mancanza di rispetto c'è la forte insicurezza dei giovani, la 'sindrome del talento' e la spinta generalizzata all'efficienza con l'imperativo di 'riuscire': come si fa retromarcia?

"Capendo che il talento ce l'hanno tutti, ma non quello che cerchiamo noi genitori, non solo si chiede di riuscire, ma ci si aspetta che i figli lo facciano nel campo scelto dai genitori, magari quello che viene dato per scontato come il migliore in cui affermarsi. Se invece la scuola avesse il tempo di cercare i singoli talenti dei vari studenti, non li obbligherebbe a competere in campi in cui non ne hanno".

Dopo questo viaggio attraverso l'Italia ci sono esempi di buona scuola che le sono rimasti impressi?

"Difficile scegliere, di sicuro mi ha colpito tantissimo l'esperienza di una scuola in cui i docenti avevano fatto lavorare tutti gli studenti sul libro che stavo andando a presentare - Quella notte sono io, dedicato al tema del bullismo - comparandolo con altri scritti, con esperienze fatte, la storia e la letteratura, realizzando un vero e proprio lavoro intellettuale. Un esempio tra i tanti, perché quando si entra in una scuola si viene colpiti dalla profonda attenzione dedicata a elementi come cultura e pensiero, e ti sembra di entrare in una bolla spazio temporale, perché poi fuori, nel mondo reale, quello del lavoro e degli adulti, per dare importanza a quelle stesse cose ti tocca combattere".

Dovrebbero godersela questa parentesi meravigliosa...

"La bellezza di immergersi nel mondo della scuola è tonificante e studiare è proprio un'occasione unica. Ma questo l'ho sempre pensato, pure da studente".

La copertina del libro di Giovanni Floris
La copertina del libro di Giovanni Floris
La copertina del libro di Giovanni Floris

C'è nel libro una definizione che piacerebbe molto agli studenti, dell'insegnante supereroe: cosa significa?

"È un po' come l'uomo ragno, l'insegnante ha le stesse enormi responsabilità, solo che gli mancano i superpoteri, o più semplicemente il sostegno della collettività. E poi sono supereroi perché lavorano in condizioni proibitive, sottopagati e in strutture malconce, e il valore del loro impegno è riconosciuto solo da poche persone".

Secondo l'Istat oltre il 50% dei ragazzi di età compresa tra gli 11 e i 17 anni ha subito episodi di sopraffazione, se non di vero e proprio bullismo: concretamente può fare la scuola?

"Serve anzitutto il ruolo della scuola nel fare apprezzare il valore delle differenze e dell'unicità della persona. Un lavoro culturale, che passa dal rafforzamento della sicurezza di ognuno, perché poi abbia la forza di apprezzare la diversità degli altri. Solo che oggi i ragazzi temono le differenze di pensiero, di etnia e religione, perché è lo stesso Paese a temerle. I professori hanno con sé quel sapere che insegna ad affrontarle, diamogli il potere di trasmetterlo".

E i genitori?

"Ho sempre pensato che la scuola sia addirittura più importante della famiglia, perché la famiglia non te la scegli e non è detto che tuo padre e tua madre abbiano la volontà o la possibilità di insegnarti le cose, la scuola invece sì, e può fare da 'rete' alla famiglia".

Sul tema delle differenze e dell'inclusione scrive che "Ai ragazzi capita in classe il mondo ma ci lamentiamo che sono indietro in geografia": l'integrazione riesce meglio a scuola che nella società?

"Ci sono casi e casi, di certo le seconde e terze generazioni di immigrati sono italianissimi come noi e per i nostri fili la convivenza con 'l'altro' diventerà scontata, poi ci possono essere criticità, ma le nuove generazioni sono molto più abituate delle precedenti alle differenze".

Tutto sommato il professore che ha definito gli studenti di oggi "una generazione di mostri" aveva torto...

"Sì, sicuramente, puntiamo sulla scuola per ripartire e ricordiamo a noi prima che a loro quanto sia importante studiare. Per vivere, e vivere bene".

Al Liceo Asproni di Nuoro c'è una borsa di studio intitolata a suo padre Bachisio: un segno della sua attenzione al tema e di un legame speciale con la Sardegna?

"Sì, sono orgogliosamente sardo di origine per parte paterna, cittadino onorario di Nuoro e di Sorradile. Mi sento sardo, romano, italiano ed europeo".

Barbara Miccolupi

(Unioneonline)
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