Ci sono storie che non devono essere mai dimenticate, lezioni di vita che andrebbero rievocate di tanto in tanto a beneficio di tutti e soprattutto delle giovani generazioni. Quest'anno il Nobel per la Chimica è stato vinto da due scienziate, la biochimica francese Emmanuelle Charpentier e la chimica americana Jennifer Doudna, fautrici di una tecnica di ingegneria genetica che permette di intervenire sul Dna e che ha dato un importante contributo alla ricerca aprendo così la strada alla cura di diverse malattie. Dalla istituzione del Premio nel 1901, il Nobel per la Chimica è stato assegnato a sole cinque donne, due delle quali erano madre e figlia: Marie Sklodowska Curie (nel 1911 per la scoperta del radio e del polonio), e Irene Joliot-Curie (insignita nel 1935, assieme al marito Frederic, per la scoperta della radioattività artificiale). È proprio alla figura straordinaria e modernissima di Madame Curie - al suo esempio, appunto - che viene da pensare rileggendo le parole pronunciate da Emmanuelle Charpentier. "Le donne - ha detto - possono lasciare un segno importante nella scienza ed è fondamentale che lo sappiano le ragazze che vogliono lavorare nella ricerca". La speranza, ha aggiunto, "è che questo Nobel dimostri alle più giovani che le donne possono avere un impatto attraverso le ricerche che svolgono". Il potere della competenza. Ma la lezione data oltre un secolo fa da Marie Curie - prima e unica signora a vincere due Nobel in due discipline diverse e la prima a insegnare alla Sorbona di Parigi - ha a che fare con la libertà, col diritto alla ricerca della felicità e all'affermazione della propria individualità di donna. "Non v'è alcun rapporto - disse durante il suo discorso davanti all'Accademia - tra la mia opera scientifica e le vicende della mia privata. In linea di principio non posso ammettere che le calunnie e le maldicenze della stampa influenzino l'apprezzamento accordato al mio lavoro scientifico". Quando il 7 novembre 1911 ricevette il telegramma inviato da Stoccolma che la informava dell'assegnazione del Premio Nobel per la chimica, era una donna a pezzi. La grande scienziata che aveva già vinto nel 1903 un Nobel per Fisica con il marito Pierre e che dopo la morte di lui - investito e ucciso nel 1906 da un carro trainato dai cavalli in centro a Parigi - insegnava alla Sorbona e trascorreva le sue giornate tra il laboratorio e l'Università, era finita in pasto alla stampa che la dipingeva come una rovinafamiglie. Dopo anni di lutto stretto, a 42 anni si era finalmente riaffacciata alla vita ricambiando il sentimento di Paul Langevin, matematico e fisico di grande valore, ex allievo di Pierre, amico di famiglia e collega. Era più giovane di lei, bello e brillante. Unico problema: era sposato e padre di quattro ragazzi. Assicurò a Marie che avrebbe lasciato la moglie, Jeanne Desfosses, donna dal carattere violento e dal temperamento vendicativo. La relazione tra Paul e Marie cominciò nel 1910, lavoravano insieme e avevano anche un piccolo appartamento dove incontrarsi lontano da occhi indiscreti. Lui la chiamava "la mia luce", lei gli scriveva lettere appassionate. Ben presto, però, Jeanne scoprì la storia clandestina del marito. Non era quello il primo tradimento, per la verità: Paul era un uomo infedele, ma le bastava aspettare e lui tornava sempre da lei. Adesso, però, la rivale le faceva paura. La sua strategia fu subito chiara. Una sera aggredì Marie in strada, urlando come una pazza e minacciandola di morte. Marie, terrorizzata, si rifugiò in casa di amici. D'intesa con Paul decisero di non vedersi per qualche tempo. La situazione precipitò nell'agosto 1911 quando Jeanne Desfosses chiede la separazione legale. Marie è reduce da una cocente delusione: l'Institut de France non ha accettato la sua candidatura all'Académie des Sciences. Lei, la scienziata che non ha rivali negli studi sulla radioattività, colei che ha isolato per prima il radio la cui unità di misura è chiamata Curie, in suo onore, e che sta studiando le applicazioni della sua creatura nella medicina e nell'industria, non è stata accolta nel cenacolo dei più grandi luminari. Tutti uomini, naturalmente. In ogni caso, aveva pesato contro di lei la pressione della stampa di orientamento conservatore e nazionalista: Marie Curie non solo era donna, era pure straniera, e forse ebrea. Il caso Dreyfus era ancora un fuoco acceso. Insomma, Madame Curie viveva il peso di tutto ciò quando lo scandalo esplose in ogni angolo della Francia. Su Le Journal venne pubblicata un'intervista alla suocera di Paul Langevin. "Ha tradito mia figlia con la scienziata Marie Curie", raccontava la donna, riferendo che la figlia aveva le prove dell'infedeltà. Nel giro di due giorni tutti i quotidiani ripresero la notizia, ma il botto lo fece Le Petit Journal con l'intervista a Jeanne che si presentava nella parte della moglie addolorata e lanciava minacce molto concrete: "Non tentino di screditarmi, posso ridurre in polvere il loro progetto pubblicando anche solo una delle lettere in mio possesso". Erano le lettere rubate dal cassetto di Paul, pubblicate dal settimanale L'Ouevre. A quel punto per Marie non ci fu davvero più pace. La sua casa venne assediata dai giornalisti, Jeanne continuava ad aggredirla per strada, diversi colleghi della Sorbona la invitarono a lasciare il Paese. C'era chi arrivò persino a organizzare raduni davanti al suo portone per insultarla, certi comitati di cittadini consacrati alla difesa della famiglia. Era in questo clima da caccia alle streghe che arrivò la comunicazione dall'Accademia di Svezia. Una bella notizia, finalmente, in mezzo a tanta amarezza. Ma Svante Arrhenius, suo sostenitore, a nome di tutto il comitato del Nobel le scrisse per farle una raccomandazione: "Meglio che non venga a ritirare il premio, lo scandalo potrebbe mettere a repentaglio il sereno svolgimento della cerimonia". Non solo, aggiunse pure che il Nobel non le sarebbe stato dato se solo l'Accademia avesse ritenuto autentiche quelle lettere, il carteggio tra amanti. Per tutta risposta il 10 dicembre Marie Curie era a Stoccolma per ritirare il premio. Alla lettera di Svante Arrhenius aveva risposto con durezza. Era stata attaccata su questioni personali anche da chi avrebbe dovuto valutare soltanto i suoi meriti di scienziata, e questo non poteva permetterlo. "Il premio mi è stato assegnato per la scoperta del radio e del polonio e credo non vi sia alcun rapporto tra la mia opera scientifica e le vicende della mia vita privata. In linea di principio - avvertì - non posso ammettere che le calunnie e le maldicenze della stampa influenzino l'apprezzamento accordato al mio lavoro scientifico". Ritirò dunque il Nobel e il suo discorso fu quello di una donna orgogliosa del proprio lavoro e dei traguardi raggiunti. Si era levata un sassolino dalla scarpa visto che nel 1906 il discorso di accettazione del Nobel fu fatto solo dal marito. Rientrata dalla Svezia era talmente debole che venne ricoverata in ospedale. Erano i primi segnali della malattia. Per molto tempo non avrà le forze per tornare al lavoro. Intanto, nel giro di due anni finì anche la storia con Paul che, tornato dalla moglie, avrà un figlio da un'ex studentessa divenuta la sua amante. Resteranno comunque amici, fino alla fine.
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