Non risulta che il governo abbia effettivamente rimosso il segreto di Stato che copre l’incontro fra Matteo Renzi e Marco Mancini, nonostante tempo fa Renzi avesse chiesto a Giorgia Meloni di farlo e lei gli avesse risposto di aver «già dato mandato» di farlo. Sarebbe tempo che la premier provvedesse, e nell’occasione potrebbe cancellare anche il timbro di riservatezza messo a suo tempo dal governo su due località galluresi: la base di La Maddalena, visto che i militari americani l’hanno abbandonata da tempo, e Villa Certosa, che non è più residenza di un premier e anzi è stata messa in vendita dagli eredi Berlusconi.

È la sostanza dell’interrogazione alla presidente del Consiglio depositata nei giorni scorsi da Silvio Lai. Il deputato dem interviene dopo l’intervista rilasciata all’Unione Sarda dal costituzionalista Gianmario Demuro che, prendendo spunto dalla vicenda Renzi-Mancini, analizzava il funzionamento del segreto di Stato e indicava appunto nella struttura dell’arcipelago di La Maddalena e nella residenza smeraldina del Cavaliere due residui sorpassati dalla storia dell’esercizio di quel “potere oscurante” che la legge riserva al capo dell’esecutivo.

In realtà anche l’incontro del leader di Italia viva con il dirigente dell’intelligence all’autogrill di Fiano Romano non è un episodio recentissimo, visto che risale al 23 dicembre 2020. Però ha un aspetto che Renzi da allora tenta inutilmente di chiarire, e cioè se effettivamente la passante che fotografò quel faccia a faccia e poi ne diede notizia abbia agito spontaneamente e mossa da curiosità civica. Ma se la presidente del Consiglio si è detta disponibile a desecretare ogni aspetto di quella vicenda, che ancora alimenta periodicamente la pubblicistica, non si vede perché non possa farlo per le due località sarde, abbondantemente uscite dall’attualità militare e politica.

Quanto alla base maddalenina, Lai fa semplicemente notare che risulta «già liberata sin dal 2006 dalla presenza di militari USA». Più articolata la vicenda di Villa Certosa. Il segreto fu opposto nel 2004 alla Procura di Tempio, che voleva verificare se i lavori di ristrutturazione di cui parlava la stampa fossero sfociati in reati ambientali. Gli inquirenti non si arresero e la questione finì davanti alla Consulta. I giudici costituzionali però non ebbero modo di pronunciarsi, perché nel frattempo la proprietà dell’immobile consentì ai Pm di effettuare un sopralluogo. Per dirla con la Corte, «il compimento dell’ispezione, ai sensi dell’art. 244 e seguenti del codice di procedura penale, da parte dell’autorità giudiziaria ricorrente ha rimosso l’ostacolo frapposto all’esercizio del potere d’indagine spettante alla stessa autorità giudiziaria, così da far venir meno, allo stato, l’oggetto del conflitto».

Ovviamente però il segreto di Stato non è svanito per il solo fatto che gli inquirenti abbiano avuto accesso alla villa. E questo crea una situazione un po’ paradossale: come scrive Lai, «oggi Villa Certosa è in vendita e sono diverse le trattative con privati di cui è emersa notizia sui giornali. Non si comprende pertanto, anche considerato che sono disponibili per l’agenzia che ne cura la vendita tutte le planimetrie e i dati relativi, per quale motivo possa essere ancora mantenuto il segreto di Stato sugli ambienti e i lavori effettuati, compresa la loro regolarità edilizia e urbanistica». E in effetti dal punto di vista giuridico, o anche solo politico, sarebbe difficile capire il senso di un segreto opponibile alla magistratura ma non al notariato, ai giornalisti ma non agli agenti immobiliari.

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