Prezzi modici, mare cristallino, servizi al villeggiante più che dignitosi. E il conto da pagare meno salato che sull’altra riva dell’Adriatico. Se il modello turistico albanese funziona ci sarà senz’altro un perché. E per scoprire se non tutta almeno una parte di verità può essere utile la storia di un ragazzo di origine albanese che ha deciso di fare turismo non a Durazzo ma nel cuore dell’Italia culturale, dove affermarsi è difficile.

Firenze, rive gauche dell’Arno. Lisjen Meti, 28 anni, si mette in testa di acquisire un ristorante in decadenza e lo trasforma in un gioiello.  Niente di miracoloso. Papà e mamma, che arrivano con lui in Italia 22 anni fa, gli inculcano il valore del lavoro, del sudore, della fatica. In Italia arrivano con una valigia carica di buoni propositi. Sgobbano e racimolano i soldi che gli consentono di allevare dignitosamente una famiglia e di coltivare nuovi sogni Oltremanica. Si trasferiscono a Liverpool ma lasciano in dote a Lisjen un tesoretto perché possa far fruttare a sua volta le proprie inclinazioni e dare una prospettiva alla sua vita. Il ragazzo mette a frutto le proprie conoscenze e non si lascia sfuggire la ghiotta opportunità. «Ho studiato relazioni internazionali e marketing imparando l’inglese, il tedesco e lo spagnolo», racconta il giovane ristoratore italo-albanese, «ho cominciato a lavorare come cameriere nel 2016 solamente per avere due soldini, così, per necessità. Visti i primi anni di lavoro non avrei mai pensato di avere un locale tutto mio». Invece la determinazione, la voglia di mettersi in gioco e la sua preparazione gli hanno permesso di realizzare il suo sogno. «Così l’11 maggio si quest’anno io e i miei soci abbiamo preso le chiavi del locale».

Da sinistra Lisjen Meti, Armind Brahimi e Krisander Nako (foto Dei Rossi)
Da sinistra Lisjen Meti, Armind Brahimi e Krisander Nako (foto Dei Rossi)
Da sinistra Lisjen Meti, Armind Brahimi e Krisander Nako (foto Dei Rossi)

Lisjen Meti da allora condivide la sua attività con Armind Brahimi, lo chef (nato in Albania nel 1996 e arrivato in Italia, precisamente a Bari 9 anni fa), e Krisander Nako, anch’egli albanese, classe ’88 e residente dal 2010 nella Penisola. In tre mesi hanno fatto diventare il loro ristorante (“Dei Rossi”, da urlo l’affresco sulle volte della sala interna) uno tra i locali più apprezzati di Firenze. E il gradimento è certificato dalle recensioni social.  A dimostrazione che anche un Under 30 come Lisien Meti può intraprendere una iniziativa imprenditoriale solida e apprezzata, non solo per la deliziosa fiorentina servita a tavola. «Vuole che le parli degli Under 30? Ci sarebbe tanto da dire», premette il ristoratore. «Fermo restando che non si può fare di tutta l’erba un fascio, ciò che riesco a percepire e capire io è che molti miei coetanei non hanno fame, molti hanno trovato le strade spianate e non hanno la concezione di quella fatica che occorre per arrivare da un punto A a un punto B».

Una tavolata nel locale dei tre ragazzi albanesi (foto Dei Rossi)
Una tavolata nel locale dei tre ragazzi albanesi (foto Dei Rossi)
Una tavolata nel locale dei tre ragazzi albanesi (foto Dei Rossi)

L’albanese cresciuto in Italia con il pallino del marketing e della buona cucina sa dove sta il problema che attanaglia le giovani generazioni. «Molte colpe hanno i genitori, molte le ha la società attuale con tutti i comfort che offre. Quando parlo di comfort mi riferisco anche agli incentivi statali che spesso vengono dati non soltanto ai poveri ma anche a chi non fa nulla per trovare un impiego. Così che il numero dei disoccupati aumenta di anno in anno».

Per Lisjen un fattore determinante resta il contesto familiare in cui si cresce. «Per noi stranieri e per i nostri genitori è stato molto più difficile integrarsi, trovare un lavoro degno, risparmiare per mandare i soldi alle famiglie che vivono anche nei paesi d’origine, tra affitti e bollette da pagare. Crescendo nella povertà capisci il valore dei soldi e hai più fame. Devi faticare se ambisci da avere una fetta di torta più grande. Questo è ciò che lega noi soci, la voglia e la fame». Si chiama cultura del lavoro. «I miei genitori sono stati in primis la mia forza e i primi investitori. Per aprire la mia attività sono servite cifre abbastanza alte. Mio padre e mia madre, rischiando anni e anni di duro lavoro, hanno avuto la fiducia in me e mi hanno sostenuto affinché io potessi esaudire il desiderio di aprirmi un ristorante, un sogno che avevo in testa e non mi abbandonava. Ma se non ti svegli la mattina e il tuo primo pensiero non è di alzarti e dare il massimo di te stesso, di cercare giorno per giorno di migliorare, non arriverai al traguardo che veramente vuoi raggiungere. La determinazione, la costanza e la serietà sono le basi di un business, qualsiasi esso sia».

Così, frugando nei motori di ricerca e leggendo le recensioni dei clienti di questi tre ragazzi si scopre che la scommessa di Lisjen Meti e soci è stata vincente. I buongustai apprezzano, il locale funziona. Alla base la voglia di lavorare, la preparazione e un mix di gentilezza e savoir faire che non guasta. Anzi.

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