E se fosse il riscaldamento globale, da lui sempre negato, a spingere Donald Trump a tentare di annettere agli Stati Uniti il Canada e la Groenlandia? Dopo il suo ritorno alla Casa Bianca, è apparso chiaro che le ipotesi espansionistiche da lui avanzate in campagna elettorale non erano solo sparate propagandistiche: il presidente ha lanciato una vera e propria offensiva verso i confinanti canadesi, chiamando più volte “governatore” il primo ministro Justin Trudeau (ora sostituito da Mark Carney), come se il secondo Paese più vasto al mondo fosse già diventato, come dice Trump, il cinquantunesimo Stato degli Usa. E poi è partita la battaglia dei dazi, ufficialmente mirata a forzare il Canada a un maggior controllo dei confini, ma secondo molti destinata in realtà a mettere in ginocchio l’economia dei “cugini”.

La visita di Vance

Contemporaneamente, si sono susseguite affermazioni sempre più aggressive e sfrontate nei confronti della Groenlandia, tanto che Trump è arrivato addirittura a ipotizzare un intervento militare per conquistarla. “Ne abbiamo bisogno per la sicurezza nazionale. Dobbiamo averla”, ha detto a fine marzo durante un’intervista per un podcast, proprio nei giorni in cui destava polemica la visita del suo vice JD Vance nell’Isola danese, insieme alla moglie Usha e al consigliere del presidente per la sicurezza nazionale Mike Waltz (visita che è stata poi comunque ristretta alla base militare americana presente da tempo in territorio groenlandese). E stavolta a confermare che quelle di Trump non sono solo boutade è stato nientemeno che Vladimir Putin: “Tutti sono ben consapevoli dei piani degli Usa per annettere la Groenlandia”, ha detto il presidente russo il 27 marzo, “è profondamente sbagliato credere che si tratti di una sorta di discorso stravagante della nuova amministrazione americana. Stiamo parlando di piani seri”.

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La visita del vicepresidente JD Vance nella base militare Usa di Pituffik in Groenlandia

Sono molte le ragioni individuate dagli analisti internazionali per spiegare l’interesse di Trump per il Canada e la Groenlandia, e alcune di queste potrebbero essere realmente legate alla consapevolezza del riscaldamento globale. Un concetto che, come l’intero discorso sul cambiamento climatico, Trump in realtà ha definito più volte “una bufala”, portando gli Stati Uniti a ritirarsi dagli accordi internazionali per limitare le emissioni dannose per l’ambiente e l’aumento della temperatura del pianeta. Qualche tempo fa, la Bbc aveva raccolto le principali affermazioni del tycoon su questo tema: da quelle più apodittiche e pittoresche (“a New York fa freddo da un sacco di tempo, dove diavolo è il riscaldamento globale”, oppure “ha fatto freddo per così tanto tempo che gli spacciatori di bugie sul Global warming hanno dovuto cambiare il nome in Climate change”), fino ad altre apparentemente più strutture, tipo: “Il concetto di riscaldamento globale è stato creato dai cinesi e a vantaggio dei cinesi, per rendere le produzioni americane meno competitive”.

Le nuove opportunità

Eppure è proprio quel concetto che fa apparire molto più appetibili i territori dell’estremo nord dell’emisfero boreale. Anzitutto, l’aumento delle temperature e lo scioglimento dei ghiacci rendono più navigabili le acque artiche, con una doppia conseguenza: da un lato, si aprono nuove rotte commerciali (potenzialmente anche più brevi di molte altre) verso la Russia e la Cina. Dall’altro, la via di comunicazione artica può diventare cruciale anche per operazioni di guerra, sia offensive che difensive. E proprio il fatto che il principale dirimpettaio in quella zona sia la Russia fa scattare un campanello d’allarme quasi ancestrale nella mente degli americani, nonostante gli apparenti buoni rapporti di Trump con Putin. D’altra parte, che la Groenlandia interessi agli Stati Uniti come baluardo per la propria sicurezza nazionale non è un’invenzione di Trump: già nel 1867 il Segretario di Stato William Seward, dopo l’acquisto dell’Alaska dalla Russia, aveva tentato vanamente la stessa operazione con la Danimarca per l’isola più grande del mondo. E nel 1946 il presidente Harry Truman era ritornato a offrire – senza successo – 100 milioni di dollari per acquistare quel vasto territorio spopolato, che durante la seconda guerra mondiale era stato occupato dai nazisti. All’epoca, finito il conflitto, gli americani avevano ottenuto solo di poter installare in Groenlandia una loro presenza militare.

Un’altra ragione che collega il riscaldamento globale alla scommessa di Trump su Canada e Groenlandia è legata alla maggiore possibilità di mettere le mani sulle risorse naturali dei due territori. Soprattutto nell’isola danese, vasti giacimenti di terre rare e altri materiali preziosi sono difficili da sfruttare, per la costante presenza di spessi strati di ghiaccio. Ma questi hanno già iniziato a sciogliersi, per via delle temperature medie in crescita, e minacciano di continuare a ridursi: l’estrazione di quei materiali potrebbe essere quindi a breve molto più conveniente, dal punto di vista economico. Trump lo sa, e anche se nei discorsi ufficiali nega che il pianeta sia sempre più caldo, probabilmente si sta già muovendo come se il Global Warming fosse un dato di fatto.

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