Toccare un monarca è vietato ma i leader non lo sanno più
La gaffe norvegese di Renzi, quella vaticana di Macron, la legge iberica del 1987Nei giorni scorsi Stefano Montefiori ripercorreva sul Corriere della Sera i motivi della freddezza fra il Vaticano e l’Eliseo, e oltre alle divergenze sull’immigrazione, sulla laicità politica e sul fine vita metteva in elenco anche la carezza fatta da Emmanuel Macron a Papa Francesco il 26 giugno 2018, nella sua prima visita a San Pietro, seguita poi da una mano confidenzialmente posata sulle spalle del pontefice.
In realtà il presidente francese avrebbe potuto citare sua discolpa il cardinale Jean-Louis Tauran che, come ricorda un pezzo di Maurizio Crippa sul Foglio del marzo 2020, definiva Bergoglio “un Papa da toccare”, come Wojtyla era stato un Papa da vedere e Ratzinger un Papa da leggere. Ma i presidenti francesi hanno un senso di sé più monarchico di molti re e non amano giustificarsi, così come in Vaticano certe sciatterie si tende a non archiviarle in fretta. E per quanto questo della carezza al Papa (e non del Papa, secondo la formula felicissima di Giovanni XXII) sia un episodio minuscolo e vecchio di oltre cinque anni, a modo suo è significativo. Innanzitutto di quanto i leader politici contemporanei (nati e cresciuti in tempi e ambienti repubblicani e più o meno democratici) siano spesso incapaci di comprendere il protocollo che regola i rapporti con i monarchi. E una delle regole più importanti – e più frequentemente infrante – è proprio l’intangibilità del sovrano, il tabù del contatto corporeo fra un comune terrestre, anche se magari incoronato dal sostegno popolare e da milioni di voti di preferenza, e un essere che tradizionalmente si intende asceso al trono per volontà divina.
Naturalmente abbiamo tutti in mente immagini di re e regine che stringono mani a raffica, ma si tratta sempre di gesti di loro iniziativa: il protocollo di qualunque corte prevede che non possa essere la persona comune a stabilire per prima un contatto fisico con sua Maestà (o Santità, a seconda).
Ma questo, dicevamo, spesso i leader contemporanei non lo sanno, oppure non lo ricordano. Una ideale carrellata di strappi alla norma dell’intangibilità regale deve necessariamente includere una delle gaffe più buffe e innocue della politica estera italiana recente. L’istantanea è del 6 aprile 2016, quando il presidente del Consiglio Matteo Renzi accoglie Harald V Norvegia nel cortile di Palazzo Chigi tendendogli cordialmente la destra e quello resta con le braccia che pendono lungo i fianchi, senza accettare la stretta. E attenzione, non stiamo parlando di un re particolarmente tradizionalista: da principe ereditario minacciò di rinunciare a ogni diritto dinastico se non gli avessero lasciato sposare la borghese di cui era innamorato e che ora siede sul trono accanto a lui. Ma le regole sono le regole e la mano porta dal Rottamatore rimase per alcuni, imbarazzanti secondi sospesa nell’aria di quella mattinata di primavera romana.
Molto più noto l’episodio del G20 londinese dell’aprile 2009, quando Michelle Obama (all’epoca first lady americana da due mesi) circondò con un braccio le spalle della regina Elisabetta. Un fatto raccontato e analizzato così tante volte che vale la pena di lasciarlo rievocare direttamente alla sua autrice: “Ho fatto – scrive Michelle Obama nella sua autobiografia Becoming – la mia storia - ciò che mi viene istintivo ogni volta che mi sento legata a una nuova persona, ovvero esternare i miei sentimenti. Ho affettuosamente allungato la mano sulla sua spalla. Sul momento non potevo saperlo, ma stavo commettendo quello che sarebbe poi stato considerato un passo falso epico”. Comunque fra i tanti che rimasero scandalizzati non figura Elisabetta: “Oserei dire che anche la regina era d’accordo perché, quando l’ho toccata, si è avvicinata a me e ha appoggiato una piccola mano guantata sulla mia schiena”.
Se l’abbraccio della first lady alla regina alla fine fu deglutito anche a Londra come qualcosa di accettabile (e addirittura anni dopo ai funerali ai sua madre re Carlo accettò perfino un bacio su una guancia da una sua suddita che si sporgeva dalla transenne, commossa dalla tristezza del nuovo re), allora va archiviato come una bagattella l’episodio romano del giugno 2011, quando il presidente del Consiglio Berlusconi per attirare l’attenzione del re di Spagna Juan Carlos gli mise una mano su un braccio. Non solo perché il gesto fu molto meno plateale di quello compiuto da Mrs Obama, ma soprattutto perché nasceva da un’intenzione cortese: il cavaliere voleva pregare il re, che era sofferente a un ginocchio, di non levarsi in piedi tutte le volte che sfilava la bandiera italiana. Visto che si era alla parata per la festa della Repubblica, le occasioni per affaticare sua maestà davvero sarebbero state tantissime. In ogni caso Berlusconi fu subito informato della gaffe dall’inflessibile presidente Napolitano, che sedeva lì accanto, e per ripristinare l’etichetta si rivolse nuovamente a Juan Carlos stavolta senza sfiorarlo. Il fatto comunque non ebbe alcuna ripercussione se non l’arricchimento della sterminata aneddotica su Berlusconi, ma vale comunque la pena di ricordare che fra tutti i divieti di toccare (afferrare, accarezzare, sfiorare) il corpo di una testa coronata, quello spagnolo è l’unico che non deriva da un’impalpabile protocollo bensì da una norma di legge. E non da una legge medievale, da un fossile giuridico sopravvissuto nei secoli, ma da un decreto del 1987.
In ogni caso a Madrid ha fatto molto più scalpore un episodio di mancato contatto, quando ai primi di quest’anno l’ambasciatore iraniano in Spagna dopo aver stretto la mano a re Felipe ha tirato dritto davanti alla regine Letizia, sostanzialmente ignorandola. Nessuna motivazione politica, hanno fatto subito sapere dalla Repubblica islamica, solo il rispetto del precetto religioso che vieta a ogni fedele di toccare donne che non appartengano alla propria famiglia.
La tappa conclusiva è obbligatoriamente in Giappone, dove sul trono non c’è un re ma l’ultimo imperatore vivente. Qui l’ultimo scandalo protocollare è nato quando il sovrano è stato toccato non da un politico, ma più in genere dalla politica. Il fatto risale al novembre 2013: come riassumeva Il Post citando un servizio della Reuters, durante una tradizionale festa autunnale nei giardini del Palazzo Imperiale “il parlamentare giapponese Taro Yamamoto ha consegnato una lettera scritta a mano all’imperatore Akihito sulle condizioni sanitarie nell’area di Fukushima, dove si è verificato il disastro nucleare del marzo 2011. È stata una mossa estremamente inusuale e che molti hanno interpretato come un tentativo di spingere l’imperatore verso il dibattito politico: molti hanno chiesto a Yamamoto di dimettersi e questa settimana una commissione del Senato giapponese si esprimerà sulla possibilità di punire il parlamentare, a cui è stato vietato di prendere parte a tutti gli eventi con la famiglia imperiale in futuro”. Il gesto di Yamamoto è stato irrituale, ma non senza precedenti. Il Post concludeva, citando stavolta la Associated Press, con il caso di “un altro parlamentare, Shozo Tanaka, che nel 1901 diventò famoso per avere rivolto un appello direttamente all’imperatore contro l’inquinamento causato dalle miniere di rame. In quel caso, ricordato ancora oggi, si dimise da parlamentare e divorziò dalla moglie per prendersi da solo tutte le responsabilità del suo gesto. Venne arrestato ma liberato poco dopo”.