Da mesi fa il contro alla rovescia: i giorni, le ore e i minuti che mancano al giorno in cui non varcherà più la porta di quell’ ospedale che negli ultimi 18 anni lo ha sfinito, demotivato, afflitto, frustrato, trasformandolo come dice lui, in un  “dirigente della Toyota”.

Al dottor Sedda piace fare ironia, ma questa volta non è in vena di sorrisi. È arrivato il giorno del suo pensionamento e se ne va sbattendo la porta e sparando a zero contro una Sanità malata e senza futuro. “Ho iniziato a fare il medico pensando al concetto di Sanità come cura delle persone  - spiega Tito Sedda – oggi vado in pensione lasciandomi alle spalle un’industria sanitaria che conosce solo il concetto di premio di produzione e cannibalizza tutto il personale addetto alla cura della salute. - E continua - Se oggi esiste ancora un servizio di oncologia questo è merito dell’abnegazione del personale medico e infermieristico che continua a lavorare per il bene del paziente”.

Tito Sedda ha trascorso 29 anni al San martino, 18 in Medicina e 11 in al Dh di Oncologia, oggi sottodimensionato, come del resto tutto l’ospedale: a fronte di un organico di 6 medici più il responsabile: “Siamo solo in  tre e quando uno va via deve dare in carico i 30 pazienti in chemioterapia che gli sono affidati ad altro personale. Nessuno si cura di quanto queste persone siano fragili e abbiano necessità di una continuità nell’assistenza – spiega il dottor Sedda -  e di quanto sia crudele sballottarle da una parte all’altra secondo logiche che nulla hanno a che vedere con la cura del malato”.

Ma l’oncologia, spiega Tito Sedda è sempre stata vista come la Cenerentola della Sanità. “È crudele dirlo, ma il malato di tumore è visto dall’industria sanitaria come un bilancio in passivo: l’aspettativa di vita del paziente influisce sulla decisione delle cure che l’azienda è disposta a mettere a disposizione. È una vera  vergogna”. E continua: “Anni fa ho dovuto combattere contro l’idiozia di qualcuno che sosteneva che gli oppiacei, usati per calmare il dolore dei malati terminali  davano assuefazione. Ma come si fa a pensare alla possibile assuefazione di una persona che forse ha ancora una settimana di vita? Ecco questi sono i paradossi del nostro sistema sanitario”.

E poi è arrivato il Covid  a dare  il colpo di grazia a decine e decine di malati oncologici che non possono essere più seguiti: “Le chemio vanno avanti, ma i controlli clinici sono bloccati: in altre parole, tutti quei pazienti guariti, ma che rischiano recidive, sono allo sbando. Abbiamo chiuso con 700 visite in arretrato, non abbiamo personale neppure al call center”.

Ma ormai anche i ragazzini hanno capito che dagli ospedali è meglio stare lontani: non si parla d’altro che di  file quotidiane al pronto soccorso, continui disagi in tutti i reparti, denunce e inchieste che ormai sono all’ordine del giorno.

“L’Oristanese non ha più nessuna forza in Regione – continua Tito Sedda -  non abbiamo politici che proteggano i nostri ospedali. Tempo fa hanno fatto una selezione a Cagliari alla quale hanno partecipato 27 oncologi, che hanno scelto tutti Cagliari come prima sede, naturalmente. A Oristano non è arrivato nessuno. È chiaro che la politica è quella di affossare la periferia”.

Nonostante tutto Tito Sedda, travolto da un sistema che non gli è mai appartenuto, ha sempre continuato a fare il medico e l’oncologo nel volontariato e ovunque ci sia stato, e ci sia bisogno di dare una mano a chi sta male.

A 26 anni il dottor Sedda faceva assistenza domiciliare ai malati terminali: cure palliative e terapia del dolore insieme ad altri colleghi che, insieme a lui, avevano fondato l’associazione Gigi Ghirotti (in memoria di un giornalista malato di tumore che, durante la malattia, ha raccontato la sofferenza dei pazienti nelle sue stesse condizioni).

Per anni il dottor Sedda è stato anche presidente della Lilt oristanese, facendo campagne di prevenzione e divulgazione di stili di vita per contrastare le patologie neoplastiche. Ha collaborato inoltre con associazioni e gruppi di pazienti oncologici che cercano percorsi alternativi di guarigione.

“E non vedo l’ora di smettere di fare il dirigente della Toyota per rimettermi a fare il medico. Volontario, come quando avevo 30 anni, ma con un po’ di esperienza in più. Riprenderò a lavorare sul campo, vicino alla gente, come è giusto che sia”.

E questo è un ruolo al quale il dottor Sedda non si è mai sottratto.

Maria Delogu, portavoce dell’associazione Komunque Donne ha avuto modo di coinvolgerlo in tante iniziative organizzate in questi ultimi anni dalle pazienti che fanno parte del gruppo: <Il dottor Sedda è sempre stato prezioso per tutte noi e per le amiche che oggi non ci sono più: l’associazione lo ha sempre coinvolto e lui ha sempre risposto ad ogni nostro appello, come medico e amico. Sentiremo pesantemente la sua assenza dall’ospedale, con un day hospital già ridotto all’osso. Non è facile trovare un medico come Tito, che cura con le parole, oltre che con la chimica, che sa empaticamente comunicare la diagnosi e condividere momenti di gioia e di passaggio, Tutte noi siamo grate a questo medico-uomo che non ha mai dimenticato il bambino che ha dentro”.

Con loro ha cantato, ballato, fatto spettacoli portandosi dietro i suoi tamburi di Gavoi (suo paese di origine)  solo per stare vicino alle sue pazienti, nel loro percorso difficile di donne coraggiose. “Anche questa volta se ne andrà scocciato, come fa lui, sbattendo la porta – conclude Maria Delogu – poi tanto sai che puoi chiamarlo quando vuoi, a qualsiasi ora. Quando stai male lui c’è sempre”.

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