Eternamente indecise, ancorate al passato, disposte al cambiamento solo se è inevitabile. In altre parole, un peso per lo sviluppo. È il ritratto che gli esperti del Centro comune di Ricerca (Jcr) della Commissione europea fanno delle aziende agricole a conduzione familiare. È contenuto nella relazione "Farmers of the Future”, proposto come contributo all’elaborazione della strategia "Dalla fattoria alla tavola", che è un elemento chiave del Green Deal europeo. La relazione guarda al futuro, ipotizzando come sarà declinata nel 2040 l’agricoltura professionale. Partendo dalla domanda: quali saranno le aziende e gli agricoltori del futuro? La risposta è un quadro comprensibilmente diversificato che ipotizza dodici profili. Dalle grandi aziende industriali, con colture estensive, alle piccole e medie aziende dove il mestiere dell’agricoltura si tramanda di generazione in generazione. Due di queste categorie (etichettate come Patrimoniali e Adattive) vengono identificate, in pratica come il vecchio che avanza. Nel senso che arriveranno al 2040, ma è difficile capire in quale modo, visti l’incertezza e lo smarrimento dei loro proprietari e gestori

Lettera aperta all’Europa

Una descrizione che ha fatto sobbalzare Jan Douwe van der Ploeg, 71 anni, padre nobile della Sociologia rurale in Europa. «Perché dentro quelle due categorie - afferma - c’è la grande maggioranza dei 10 milioni di aziende agricole a conduzione familiare esistenti nell’Ue». Raffigurate (in particolare i cosiddetti agricoltori patrimoniali) in termini peggiorativi. Van der Ploeg quelle aziende le ha lungamente studiate, con un approccio multidisciplinare, evidenziandone la preziosa diversità negli approcci alla produzione e alla gestione, la carica innovativa, la capacità di rigenerazione. Sono loro, argomenta lo studioso olandese (che ha guidato progetti di ricerca in tutti i Continenti), gli agricoltori del futuro: alla guida di aziende agili e radicate sul territorio, di cui sono interessati a difendere le caratteristiche e le tradizioni, ma consapevoli dei mercati internazionali, capaci di sfruttarne nicchie e debolezze.

Wageningen UniversityVerso
Wageningen UniversityVerso

Da quella indignazione nasce la “Lettera aperta” sottoscritta da 40 scienziati (dieci sono italiani) legati alle principali università e istituti di ricerca agricoli d’Europa. Una dichiarazione che contesta duramente la relazione del Centro comune di ricerca, accusato di aver ignorato rigorosi studi di accademici ed esperti sulla vitalità del mondo agricolo a base familiare. Basando su pregiudizi filo-industriali e non su fatti un documento che indirizzerà le politiche agricole dell’Unione europea per molti anni a venire. Messaggio indirizzato a Frans Timmermans, vicepresidente esecutivo della Commissione europea, a Janusz Wojciechowski, commissario europeo per l'Agricoltura e Norbert Lins, presidente del Comagri del Parlamento europeo

Aziende di Sardegna

Tra i firmatari della protesta c’è anche il sociologo Benedetto Meloni, 75 anni, originario di Austis, già ordinario di Sociologia del Territorio e dell’Ambiente all’Università di Cagliari. Meloni fra l’altro coordina da tredici anni la scuola di Sviluppo locale Sebastiano Brusco di Seneghe, un gruppo operativo dove si confrontano accademici, tecnici e imprenditori di vecchie nuove generazioni e amministratori locali. Dimostrando con i fatti che nelle cosiddette zone interne, terre di spopolamento, si muovono intelligenze vivaci, si creano imprese di eccellenza.

La Commissione europea parla anche degli agricoltori di Sardegna. Ma il ritratto che ne fa non sembra corrispondere con la realtà descritta dagli studiosi: «Sì, nelle due categorie delle imprese Patrimoniali e Adattive rientrano anche quelli che oggi definiamo i nuovi contadini. In Sardegna come nel resto d’Europa», risponde Meloni.

Benedetto Meloni, sociologo rurale
Benedetto Meloni, sociologo rurale
Benedetto Meloni, sociologo rurale

 «Va detto, e la Lettera aperta lo sottolinea chiaramente, che la crisi esiste. L’insicurezza però non è personale, della singola azienda, bensì di tutto il mondo agricolo», argomenta il sociologo. «E sono soprattutto le aziende monoproduttive capitalistiche a trovarsi in difficoltà nel creare valore aggiunto, in quanto fortemente dipendenti dagli input esterni. Perché l’agribusness non ha la flessibilità e la capacità di rinnovarsi che stanno dimostrando le piccole aziende familiari, le quali peraltro adottano pratiche sostenibili dal punto di vista ambientale e contribuiscono alla manutenzione del territorio. Sono insomma, aziende che potremmo definire Proto-agroecologiche». Un tema analizzato da Jan Douwe van der Ploeg e da altri eminenti ricercatori in un importante studio pubblicato nel 2019, The Economic Potential of Agroecology: che «costituisce il punto d’arrivo della ricerca comparata sulle specifiche tendenze attualmente in atto nei sistemi agricoli in Europa», dice  Benedetto Meloni. Un approccio che il sociologo ha fatto proprio, insieme a Pietro Pulina, ordinario di Economia ed estimo rurale all’Università di Sassari, nel volume “Turismo sostenibile e sistemi rurali locali edito da Rosenberg & Sellier”: una raccolta di ricerche sui nuovi contadini in Sardegna (nello specifico Montiferru e Nurra), Toscana, Corsica e Francia del Sud.

Un mondo che cambia

Che dire dunque degli imprenditori agricolo sardi, oggi? Sono gente che aspetta un modello calato dall’alto e dall’esterno, come negli anni Sessanta? Benedetto Meloni assicura il contrario. «Quando si parla di agricoltura contadina c’è chi pensa all’arretratezza. Sopravvive, per esempio, l’idea di una pastoralità come residuale. La realtà è molto diversa». Le attività produttive della Sardegna rurale sono state studiate dalla Sociologia negli anni Ottanta e poi dimenticate, come condannate all’estinzione, sostiene il docente. «Nel frattempo nelle campagne si sono affermati cambiamenti importanti, alcuni di lungo periodo, che hanno visto emergere aziende nuove e dinamiche, ma su un modello neo contadino, inteso come diverso dal modello produttivistico intensivo che ha dominato le politiche agricole dal Dopoguerra».

Addio alla transumanza

Un esempio di mutamento strutturale, spiega il professor Meloni,  è l’appoderamento pastorale nelle pianure e colline cereagricole legato alla scomparsa della transumanza. «Sui sentieri un tempo percorsi dai pastori – commenta - oggi passeggiano sportivi e turisti». I pastori, che per secoli portavano le greggi dalle montagne centrali ai Campidani, a pascolare nei campi che gli agricoltori lasciavano a riposo nell’alternanza delle colture, oggi di quei terreni sono proprietari. «Per esempio, da Gavoi e Ovodda si sono mossi verso le  colline dell’Oristanese, dove hanno creato aziende residenziali, fra l’altro  promuovendo la principale cooperativa lattiero-casearia della Sardegna, la CAO». Da Desulo il processo di appoderamento ha riguardato soprattutto il Sulcis Iglesiente. In Trexenta e Marmilla, dove l’agricoltura cerealicola estensiva è stata scalzata dalla concorrenza dei grani extraeuropei, gli allevatori delle zone interne hanno portato le famiglie e il bestiame. «Molti di loro - sottolinea Meloni -  sono imprenditori innovativi, per esempio la Fattoria Cuscusa a Gonnostramatza diversifica le produzioni, fa agriturismo e tiene una scuola internazionale di caseificazione».

La raccolta di saggi sui nuovi contadini curata da Benedetto Meloni e Pietro Pulina
La raccolta di saggi sui nuovi contadini curata da Benedetto Meloni e Pietro Pulina
La raccolta di saggi sui nuovi contadini curata da Benedetto Meloni e Pietro Pulina

La ricontadinizzazione

Le accuse di indecisione e scarsa propensione al rinnovamento, formulate dal Centro comune di Ricerca (Jcr) della Commissione europea, sono rivolte alle cosiddette aziende patrimoniali, ovvero basate sul patrimonio aziendale familiare. Imprese che hanno terra propria e manodopera prevalentemente familiare. A differenza dell’agricoltura industriale, argomenta il sociologo. Non sono iperspecializzate in una monocoltura ad alta resa. «Fanno quello che facevano i vecchi contadini nelle loro fattorie: coltivano e trasformano i propri prodotti, puntando sulle specificità locali. E sono meno dipendenti dall’esterno, anche  sul piano tecnologico. Famiglia, territorio e specificità dei prodotti sono la loro forza». Sembra uno slogan romantico, ma non lo è. Non ci sono mulini bianchi, nelle campagne dell’Isola.

Per intendersi, su poco meno di 52 mila aziende agricole in Sardegna (dati Istat del 2016), circa 47 mila sono a conduzione diretta e 40.787 impiegano solo manodopera familiare. Un tempo vai a zappare era una maledizione e i genitori degli anni Settanta mandavano i figli a scuola perché trovassero un posto fisso nella burocrazia dello Stato o della Regione. Oggi i nipoti tornano in campagna e ravvivano le aziende in collaborazione con i nonni e i padri. E vincono premi per l’olio, il vino, il miele prodotti come e meglio di cento anni fa.  Talvolta hanno lasciato altre professioni. Come «Davide Orro, ricercatore univesitario, e la sorella architetta, che rientrano a Tramatza per gestire una piccola impresa multifunzionale che produce olio e vernaccia di qualità». Gli Orro, prosegue il professore, «sono significativamente presenti nel territorio come operatori culturali, come anima del Museo della vernaccia».

La via della famiglia

Il lavoro familiare consente un risparmio, e il reddito agricolo può essere integrato dallo stipendio di chi lavora in banca o in Comune. «Il centro della produzione è il territorio, la specificità: l’oliva bosana, la malvasia della Planargia, la vernaccia del Sinis. A differenza delle aziende capitalistiche, che potrebbero produrre ovunque, queste sono aziende fortemente legate al territorio». Legate, ma non incatenate. I nuovi contadini creano reti, aderiscono a consorzi o ne formano di nuovi. Fanno vendita diretta, come i nonni. Ma grazie all’ecommerce possono scegliersi i clienti in tutto il mondo, senza farsi strangolare dalla grande distribuzione. Due sole aziende agrituristiche conferiscono alla grande distribuzione nel Montiferru, fra quelle studiate nel Progetto Prometea e citate nello studio coordinato da Meloni e Pulina.

La multufunzionalità

Le piccole aziende familiari che la Commissione europea vede arrancare verso il traguardo del 2040, sono multifunzionali. Laddove non arriva il reddito da agricoltura si allarga l’offerta. Si fa ospitalità, agriturismo, scuola di cucina, fattorie didattiche, turismo equestre e via inventando. Iniziative collaterali che contribuiscono a far cresce le singole aziende e l’intero territorio. Accanto alle imprese più innovative ci sono quelle che la commissione classifica come Adattive: «Quelle che resistono in maniera residuale senza fare innovazione di processo e prodotto, soggette a constante adattamento al contesto», spiega il sociologo. Ma anche queste sono tutt’altro che inerti e contribuiscono alla rete del territorio. Magari rifornendo con le loro piccole produzioni (anche in regime di scambio) le eccellenze della ristorazione locale.

Le aziende agricole familiari, infine, sono cruciali per la conservazione o l’evoluzione del paesaggio: pascoli, orti, frutteti necessitano di sentieri, siepi, muretti. «Le imprese agricole producono anche servizi pubblici fondamentali come la manutenzione del territorio. Devono essere riconosciute e compensate», dice Benedetto Meloni. Il futuro è loro, sono parte fondante del Green Deal che l’Unione europea tanto sbandiera.

L'Europa promette attenzione

La protesta degli accademici, divulgata anche sui social, ha avuto un’eco forte. Inevitabile, visto che  quella di Wageningen è «la principale facoltà europea di sociologia rurale», spiega Benedetto Meloni  e Jan Douwe van der Ploeg un’autorità di caratura mondiale, a lungo consulente delle istituzioni europee e oggi impegnato in prima persona in progetti di sviluppo agricolo cooperativo.«L’obiettivo dello studio era proprio stimolare una discussione», hanno risposto il vice presidente esecutivo Frans Timmermans e il commissario Janusz Wojciechowski ai quaranta firmatari della protesta. Ammettendo che molte delle osservazioni fatte sono pertinenti. E invitando gli studiosi a un confronto più approfondito. Di persona o in videoconferenza. Sarà un’occasione da seguire con attenzione, ne va del futuro di molte aziende sarde.

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