Secondo gli ultimi sondaggi meno di metà degli italiani sa che il Parlamento potrebbe presto cambiare volto, con una sforbiciata alla poltrone di Camera e Senato. In realtà è già dietro l'angolo il referendum che metterà il sigillo o meno sulla riorganizzazione degli assetti del Parlamento. La legge costituzionale approvata a ottobre del 2019 prevede la riduzione - da 945 a 600 - dei posti nelle due Camere, ma sarà la consultazione popolare in programma domenica 20 e lunedì 21 settembre a decidere se la revisione della Costituzione potrà diventare realtà. L'appuntamento con le urne era in programma originariamente a marzo, prima dello scossone del lockdown. Lo slittamento non cambia però la sostanza: gli elettori dovranno decidere se confermare o meno il taglio dei parlamentari fissato dalla riforma dell'autunno dell'anno scorso.

I TAGLI NELL'ISOLA - È stata ridisegnata la geografia del Parlamento, con la riduzione dei posti nelle due aule: si passerebbe da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori (quelli eletti, sono escluse le nomine a vita). In Sardegna la novità costituzionale prevede 11 posti alla Camera (contro i 17 attuali) e 5 posti al Senato (contro gli 8 di adesso). Si profilerebbe quindi la perdita di 9 posti complessivi (il 36 per cento) di rappresentanti dell'Isola a Roma. Il condizionale è d'obbligo perché soltanto se al referendum vinceranno i "Sì" prenderà forma il cambio di assetti nelle aule di Montecitorio e Palazzo Madama.

SENATORI A VITA - La riforma approvata l'autunno scorso definisce nuove regole anche per quanto riguarda la nomina dei senatori a vita da parte del presidente della Repubblica: se arriverà la conferma dal referendum non potranno essere mai più di cinque in carica. Attualmente c'è la doppia interpretazione: alcuni presidenti hanno inteso il tetto massimo della presenza di cinque senatori a vita, altri (Pertini e Cossiga) hanno deciso che ogni capo dello Stato possa procedere alla nomina di cinque senatori, a prescindere dal numero complessivo. Resta invariata la regola per cui i presidenti della Repubblica uscenti diventano senatori di diritto.

LE REGOLE DEL GIOCO - Il quesito che verrà presentato nella scheda domenica 20 (dalle 7 alle 23) e lunedì 21 (dalle 7 alle 15) sarà sostanzialmente questo: "Approvate il testo della legge costituzionale concernente modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n.240 del 12 ottobre 2019?". Per la validità del referendum costituzionale non è previsto alcun quorum minimo di votanti. Si fa un calcolo molto elementare: se i "SÌ" superano i "No" la riforma costituzionale col taglio dei parlamentari è convalidata e il Capo dello Stato promulga la legge. In caso contrario, cioè se prevalgono i "No", è come se la legge stessa non fosse mai nata: tutto resterebbe immutato e non ci sarebbe più alcun taglio dei seggi in Parlamento.

PERCHÉ C'È IL REFERENDUM? - Una legge di revisione costituzionale può essere approvata (durante i due passaggi alla Camera e i due al Senato) con la maggioranza qualificata di due terzi del Parlamento: a quel punto il capo dello Stato è chiamato alla promulgazione e la riforma costituzionale entra in vigore. Se invece la legge viene approvata solo con la maggioranza assoluta (il 50 per cento più uno dei voti, come è successo per questa riforma) si apre la strada ipotetica del referendum "confermativo". Può essere richiesto, entro i tre mesi successivi all'approvazione, da un quinto dei componenti di uno dei due rami del Parlamento, da cinquecentomila elettori o da cinque Consigli regionali. In questo caso la facoltà è stata esercitata da 71 senatori, che hanno depositato la richiesta di referendum alla Corte di cassazione il 10 gennaio scorso.

LE RAGIONI DEL SÌ - La cura dimagrante per Camera e Senato non provocherebbe particolari conseguenze nella rappresentanza territoriale. Neanche a Palazzo Madama dove attualmente ci sono già differenze tra territori perché si vota su base regionale. Con meno parlamentari le Camere sarebbero più snelle, avrebbero una maggiore operatività e il bicameralismo perfetto sarebbe comunque garantito. Il taglio di deputati e senatori abbasserebbe i costi della politica, con un risparmio annuo di quasi 100 milioni. Il minor numero di parlamentari non inciderebbe sugli equilibri politici per l'elezione del presidente della Repubblica, anche se resta invariato (e quindi aumenta il peso relativo) il numero dei tre rappresentanti di ogni Regione che partecipano alle votazioni. L'assenza di una riforma elettorale che viaggi di pari passo con la riduzione dei seggi non provocherebbe squilibri: il numero di deputati e senatori da eleggere lascerebbe intatte le attuali regole elettorali e in ogni caso favorirebbe un processo di riforma.

LE RAGIONI DEL NO - La riduzione dei parlamentari rischia di penalizzare territori che non sarebbero più rappresentati a Roma. Si avrebbe un deputato ogni 150mila abitanti (e un senatore ogni 300mila), una delle proporzioni più basse d'Europa. Il calo del numero dei parlamentari altererebbe il rapporto tra eletti ed elettori e creerebbe distorsioni pericolose nell'attuale bicameralismo perfetto. Con la riforma si avrebbe un aumento del peso dei Consigli regionali in occasione dell'elezione del presidente della Repubblica: peraltro il minor numero di elettori rafforzerebbe lo scontro politico (con decisioni di forza della maggioranza di turno), inadeguato per la scelta della carica simbolo dell'unità del Paese. Costi della politica: per i sostenitori del No il vantaggio è minimo, mentre è soltanto demagogico il risparmio sulle istituzioni e sulla rappresentanza democratica. La riforma costituzionale non può prescindere da una nuova legge elettorale adeguata alla nuova rappresentatività, altrimenti si rischiano squilibri rilevanti nei meccanismi elettivi.
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