Sinner-Alcaraz, la finale da sogno del Roland Garros
Il secondo Slam dell’anno si chiude con l’ultimo atto più atteso: numero 1 e 2 al mondo a confrontoPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Parigi, impianto del Roland Garros, terra battuta: il secondo Slam dell’anno si chiude con la finale più attesa, la più bella e giusta possibile: il numero uno al mondo, l’italiano Jannik Sinner, 23 anni, contro il numero due, lo spagnolo Carlos Alcaraz, ventiduenne.
Proviamo a giocarla, seduti davanti al computer, statistiche alla mano, tra il serio e il faceto, cercando di capire vizi e virtù, assi nella manica e debolezze dei due giovani padroni del tennis mondiale, che stanno iniziando a scrivere nel libro sacro di questo sport una rivalità sportiva capace di far uscire gli appassionati dal lutto per la scomparsa – per fortuna per niente prematura e solo tennistica per limiti d’età – di Roger Federer e Rafa Nadal (Djoković è ancora vispo e arzillo a 38 anni).
I precedenti sono a favore dello spagnolo: 7-4. Il terzultimo un anno fa proprio sulla terra parigina del Bois de Boulogne, ma in semifinale, vinta dallo spagnolo al quinto set. I guardoni di tennis (in tv e non solo) ricorderanno che Jannik era in vantaggio due set a uno e soprattutto che nel 2024 l’azzurro saltò gran parte della stagione sulla terra battuta per un problema all’anca accusato nel primo torneo europeo sull’argilla, a Monte Carlo: il via libera dei medici per il Roland Garros arrivò poco prima dell’inizio del torneo.
L’ultimo scontro diretto tra i due risale a tre settimane fa, la finale di Roma, e anche in quel caso non si può certo parlare di un Jannik in forma, visto che rientrava alle gare ufficiali dopo aver patteggiato una squalifica di tre mesi per il famigerato caso Clostebol (la contaminazione infinitesimale e involontaria con un farmaco proibito). Al Foro Italico Sinner ha lottato per un set, perso al tie break dopo aver sprecato con due errori (una risposta al servizio e un rovescio lungolinea largo) altrettante occasioni per incamerarlo.
Ecco, Sinner dovrà ripartire proprio da quel primo set sulla riva del Tevere, nel quale aveva costretto Alcaraz a snaturare il suo tennis fantastico fatto di invenzioni, accelerazioni, pressione, attacchi e smorzate, riducendo l’iberico al rango di regolarista in attesa degli errori dell’alto atesino, per forza di cose non ancora al meglio dopo lo stop Clostebol (il secondo parziale fu un sonoro 6-1 nel quale Carlitos maramaldeggiò a lungo).
Che partita vedremo a Parigi? Cerchiamo di capirlo leggendo il cammino dei due campioni sino alla finale. Sinner non ha perso neanche un set, nel secondo, terzo e quarto turno contro Gasquet e Lehecka e Rublev ha giocato un tennis sontuoso, quasi perfetto; nei quarti contro Bublik, un tennista da prendere sempre con le pinze, ha sofferto soltanto per un set lasciando solo un gioco nel primo e nel terzo; e in semifinale ha lottato contro un Djoković arrivato a Parigi in grande forma. Insomma, un percorso da dieci, l’azzurro non dovrebbe neppure aver sprecato troppe energie e ha dimostrato di sapersi adattare sia al gioco più veloce sulla terra asciutta del pomeriggio sia a quello più lento dell’argilla più umida delle sessioni serali.
Alcaraz, anche in virtù di un tennis più creativo, è stato a tratti ancora ugualmente dominante (su tutti il match dei quarti contro Paul, letteralmente annichilito), ma si è anche preso alcune pause e ha perso qualche set per strada (contro Marozsan nel secondo turno, Dzumhur nel terzo, l’ottimo Shelton negli ottavi e in semifinale contro il nostro Musetti, che ha giocato per due set alla pari contro l’iberico) senza comunque aver mai dato l’impressione di poter soffrire davvero.
Sinner è al 100%? Secondo i suoi coach Vagnozzi e Dahill non ancora, anche se match dopo match sta riacquistando la condizione che lo ha portato a vincere gli ultimi due Slam Us e Australian Open, più Atp Finals di Torino e Coppa Davis con l’Italia: «Manca ancora un po’ di reattività». E di confidenza, come si dice in gergo, quella che solo le partite possono dare, e lui ne ha dovuto saltare tante, tutta la stagione dei Master 1000 americani, per esempio, suo terreno di caccia perché si sa che Sinner si esprime meglio sul cemento outdoor.
Il gioco di Sinner, soprattutto contro un avversario fantastico come Carlitos, dipende molto dal servizio, colpo che negli anni ha migliorato molto e sul quale si è allenato tanto non appena si è aperta la finestra degli allenamenti concessi nel periodo della squalifica.
Alcaraz? È un tennista praticamente perfetto, una sorta di evoluzione tecnica rispetto al meglio della scorsa generazione. Non ha punti deboli, ha doti atletiche straordinarie, una grinta e un’attitudine alla lotta uniche. Il punto debole? Forse si piace un po’ troppo, forse in certi frangenti è poco concreto, ha troppe armi nel suo bagaglio tennistico (il diritto al fulmicotone, la smorzata, la discesa a rete) e qualche volta va in confusione per eccesso di sicurezza. E poi c’è la possibilità che senta il peso del pronostico, a suo favore perché la terra battuta è la sua superficie preferita (ha già vinto lo scorso anno a Parigi).
Cosa dovrebbe fare Sinner per aggiudicarsi gli Open di Francia, il suo quarto Slam (raggiungendo così proprio lo spagnolo nella classifica dei Major)? Qui il discorso diventa semiserio, perché far da coach di Sinner è il sogno di tutti gli appassionati e la coppia Vagnozzi-Cahill non ha certo bisogno di consigli, non richiesti peraltro. Certo, negli anni Ottanta la rivista specializzata Match ball aveva affidato a uno dei suoi giornalisti di punta, Ubaldo Scanagatta, il compito di cercare i piccoli tasselli mancanti nel tennis all’epoca perfetto di Bjorn Borg.
Sinner ha dichiarato che proprio queste sfide consentono ai protagonisti di cercare sempre di migliorarsi, di andare oltre i propri limiti, curando i dettagli, nella preparazione, nella tecnica. Jannik deve puntare molto sul servizio, deve cercare di avere una buona percentuale di prime palle, in modo da poter comandare poi il gioco con le palle violente e profonde che sono il suo marchio di fabbrica e non consentire al suo avversario di avere il tempo per le sue invenzioni, le accelerazioni, le smorzate e le discese a rete. E poi, meglio evitare il diritto dello spagnolo, più malleabile di rovescio.
Facile a dirsi, e a scriverlo, e difficile a farsi, certo, ma Sinner, anche in una versione non luccicante come quella di tre settimane fa a Roma, ha dimostrato di essere in grado di farlo. Il suo tennis asfissiante è perfetto per incastrare quello di Alcaraz, che contro Musetti in semifinale ha dimostrato certo tutto il suo splendore agonistico, ma anche un po’ di tensione.
In sintesi, il favorito è Alcaraz, come lo sarebbe stato Sinner sul cemento. Ma Jannik ha tute le armi per sovvertire il pronostico e un caffè sull’italiano lo possiamo scommettere. Tranquillamente.