Che bello vedere quelle cinquanta ragazze marocchine saltare e urlare in piazza Yenne, a Cagliari, dopo la vittoria del Marocco contro il Portogallo che è valsa alla squadra africana la qualificazione alla semifinali dei campionati mondiali di calcio del Qatar. “Mabrouk, mabrouk, mabrouk!” (congratulazioni, letteralmente) urlavano di gioia, sventolando la bandiera rossa col pentagramma verde al centro. E ancora “sir, sir, sir!”, il classico incitamento per dire “dai, forza”. Ha ragione chi dice che oggi il mondo è più arabo. Perché il calcio riesce sempre ad allargare i dintorni, a cambiare le geografie, a far capire che ci sono nuovi nomi nella mappa. Il Marocco è la prima squadra africana a raggiungere le semifinali ai Mondiali, ed è la prima nazionale del Maghreb. E di nuovo c'è che si porta addosso e trascina il mondo arabo nel vecchio continente, anche se è il Paese africano più vicino all'Europa.

“Ci congratuliamo con noi stessi, come popolo”, dice una delle ragazze arrivate davanti alla statua di Carlo Felice dove i cagliaritani sono soliti festeggiare le imprese della squadra rossoblù. È una vera festa. I ragazzi esultano e incitano in cerchio, tutti gli altri all’interno a saltare e urlare la loro felicità. In alto i cellulari, a fissare il momento che è storia. Prevalgono i sorrisi. Perché il calcio regala anche questi ribaltoni: fuori i “primi”, dentro “gli ultimi”. Una spinta così forte non si era mai sentita, un’ondata così irresistibile, con la partecipazione di tanti non marocchini, forse non si era mai vista.

Eppure poco prima dell'inizio del Mondiale era arrivato un colpo di scena da Rabat: la federazione calcistica marocchina aveva rescisso il contratto con il commissario tecnico Vahid Halilhodzic, artefice della qualificazione della nazionale africana a Qatar 2022. Al suo posto veniva chiamato Walid Regragui, ex calciatore nato in Francia, formatosi come allenatore nel suo Paese di origine e in grado di riportare nello scorso mese di maggio la Champions League africana proprio in Marocco, trionfando con il Wydad Casablanca. Cinque nazionali africane sono andate in Qatar e tutte hanno in panchina allenatori africani. Un fatto inedito per un continente le cui squadre più iconiche nella rassegna iridata sono state sempre guidate da commissari tecnici stranieri, soprattutto europei.

Il calcio non è mai solo un fatto tecnico, anche se senza Amrabat e Hakimi, senza il pressing e la velocità, senza gli schemi del commissario tecnico Regragui e lo stacco di En-Nesyri questa favola non sarebbe stata possibile. Ma il calcio, almeno quello dei Mondiali, è sempre una storia che ci riguarda. Anche se l’Italia non c’è. Piccolo dettaglio dolorosissimo che però consente anche a noi di tifare per il Marocco. Anche perché se vincesse l’Argentina, cosa accadrebbe? Per carità. Pensate se Messi alzasse la coppa. Chi lo terrebbe più il nuovo evangelista in telecronaca? Quello che commentando un gol di Messi, straordinario, è vero, ha detto che la Pulce “sa trasformare l’acqua in vino”.

Chi tifa oggi per il Marocco non lo fa certo per una fede calcistica. Lo fa solo perché ama le favole. A prescindere dal finale. A Cagliari, a giudicare dalla festa dell’altra sera in piazza Yenne, sono in tanti a credere nelle favole. E quella del Marocco lo è certamente. A prescindere dal finale, appunto.

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