I sette re di Roma non erano sette, le quattro repubbliche marinare non erano quattro, la “Presa della Bastiglia” non fu l’inizio della Rivoluzione francese e Galileo Galilei non si è mai sognato di dire “Eppur si muove”. Ebbene sì, non tutto quello che abbiamo studiato a scuola è vero. Perché talvolta gli storici si sono distratti o perché, per svariate ragioni, sono state tramandate versioni più convenienti.

I re di Roma

In tanti ricordano la filastrocca studiata a scuola: Romolo, Numa Pompilio, Tullo Ostilio, Anco Marzio, Tarquinio Prisco, Servio Tullio, Tarquinio il Superbo. Ma manca un nome. Perché in realtà i re di Roma sono stati otto. Il reietto? Tito Tazio, nato a Cure (l’attuale Fara Sabina, centro a 37 chilometri a sud di Rieti). Un re, per altro, particolarmente importante perché, secondo la leggenda, fu lui a urbanizzare il Quirinale, il colle che, nei secoli avrebbe offerto alloggio ai papi e, attualmente, al presidente della Repubblica. La “colpa” di Tito Tazio fu di aver regnato non da solo ma al fianco di un altro re, probabilmente Romolo. Ricevette, sempre secondo la leggenda la corona (che tenne per cinque anni), soltanto a seguito del “Ratto delle sabine”. E, anche in questo caso, ci si trova davanti a un falso storico. Perché, se è vero che Romani e Sabini finirono con il mischiarsi, è falsa, invece, la leggenda del rapimento: i due popoli vivevano fianco a fianco, i Romani sul Palatino, i Sabini sul Campidoglio e sul Quirinale. Nessun rapimento da parte dei Romani che, provenienti da Alba Longa, non si erano portati appresso le donne. I due popoli si fusero pacificamente al punto che proprio il re dimenticato, Tito Tazio, era un sabino.

Le repubbliche marinare

Nella bandiera della Marina militare sono riportati gli stemmi delle quattro repubbliche marinare, Amalfi, Genova, Pisa e Venezia. Solo che le repubbliche marinare non erano soltanto quattro: secondo gli storici moderni, questa definizione vale anche per altri comuni dediti al commercio marittimo, retti da governi repubblicani o da oligarchie, che possedevano una propria valuta, leggi marittime, una flotta commerciale e diplomatici. In particolare, furono repubbliche marinare anche Ancona, Gaeta, Noli e, in Dalmazia, Ragusa. Le prime a imporre la propria supremazia furono, nel IX e nel X secolo, Amalfi e Gaeta mentre Venezia cresceva pian piano. Nell’XI secolo cominciò il declino di Amalfi e Gaeta mentre Genova e Venezia divennero le più potenti; grande impatto ebbe anche Pisa mentre Ancona e Ragusa si allearono per resistere all’imperialismo veneziano. Tra alterne vicende, nel XVI secolo rimasero soltanto Venezia, Genova e Ragusa che cominciarono il loro periodo di decadenza, concluso con l’invasione da parte delle truppe napoleoniche.

La Rivoluzione francese

Il 14 luglio, il giorno in cui i rivoluzionari presero d’assalto la Bastiglia, è diventato, addirittura, la festa nazionale francese. Peccato che quell’episodio non sia stato il primo e, tutto sommato, sia stato anche marginale nella rivolta che il Terzo stato (la borghesia) guidò contro il sistema feudale. Due giorni prima, il 12 luglio, si era insediato il comitato permanente che si contrapponeva al governatore reale. E, in quell’occasione, fu deciso l’attacco alla fortezza per uno scopo pratico: l’obiettivo era impossessarsi delle polveri e delle armi della guarnigione formata da 114 uomini guidati da Bernard-René de Launay. In realtà, i novecento rivoltosi tentarono anche di trattare con i militari. Ma, vista la loro opposizione, assaltarono la fortezza che era diventata anche una prigione (fu il cardinale Richelieu ad assegnarle quella funzione), liberando i pochi prigionieri presenti. Ma la propaganda rivoluzionaria scelse proprio quell’assalto come episodio chiave, facendo sì che il 14 luglio diventasse festa nazionale.

Galileo e la frase non detta

Nel 1663 Galileo Galilei finì davanti al Tribunale dell’inquisizione per aver sostenuto che fosse la Terra a girare intorno al sole e non viceversa. Riuscì a evitare la condanna a morte soltanto dopo aver abiurato. Dopo aver cioè, accettato di negare le sue scoperte scientifiche, a favore della “verità” stabilita dalla Chiesa. D’altronde, lo stesso Galilei era consapevole del fatto che il libro nel quale aveva descritto le sue scoperte sarebbe potuto essere, per la Chiesa, addirittura più pericoloso delle eresie di Lutero e Calvino. Un clima caldissimo, quello stesso, per intendersi, che portò sul rogo Giordano Bruno.

Secondo la leggenda, lo scienziato accettò di abiurare ma, al momento della sentenza, pronunciò la celebre frase “Eppure si muove”. Una leggenda, appunto: se qualcuno avesse sentito quelle tre parole, per lui sarebbe stata la fine. E infatti non la pronunciò: la frase fu inventata, nel 1757, dal giornalista Giuseppe Baretto, in un volume scritto proprio per esaltare lo scienziato pisano.

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