Sono giovani sotto i trent’anni che ci mandano avanti la casa, a volte la famiglia (quando fanno i badanti), perché noi dobbiamo lavorare e non abbiamo tempo per pulire il nostro “nido” o accudire i nostri anziani. E in Sardegna, si sfiora un primato che in realtà è appannaggio della Calabria (prima in classifica con il 10,8% di lavoratori domestici italiani, evidentemente calabresi), mentre l’Isola è seconda con l’8,9%, seguita dalla medaglia di bronzo Sicilia con l’8,7%.

Certo, in questo affollamento di lavoratori italiani nel campo del lavoro domestico c’entra, pure molto, la disoccupazione giovanile, che in alcune aree raggiunge livelli preoccupanti. A livello nazionale è in cerca di lavoro il 29,7% degli under 30, ma è una media. Se poi si va a vedere i dati della Sicilia si legge uno spaventoso 48,8%, e per quanto riguarda la Calabria siamo al 47%. Ed è ovvio che il lavoro domestico, con numeri come questi, sia un’opportunità importante per i giovani.

Sono dati contenuti nel quarto Rapporto annuale sul lavoro domestico curato dall’osservatorio Domina, che evidenzia proprio la crescita degli under trenta nel lavoro domestico: la fonte è l’Inps, quindi i dati riguardano i cosiddetti “regolari”, cioè quelli per cui i “padroni di casa” versano i contributi. Sfugge ovviamente il cosiddetto “sommerso”, per niente trascurabile.

Il dato di giovani italiani che lavorano come colf o badanti è tornato a crescere nel 2020, l’anno della grande pandemia da Covid, e segue una serie di diminuzioni del peso dei giovani nel settore che era in continua caduta. L’indagine vede un costante calo di colf e badanti stranieri, principalmente dall’ex Unione Sovietica, a vantaggio dei ragazzi italiani.

L’osservatorio Domina fornisce anche le cifre. Nel 2012 i lavoratori domestici italiani fino ai trent’anni d’età erano quattordicimila. Poi questo numero è cresciuto costantemente, fino a sfondare quota ventimila nel 2021. Mica poco: è un incremento del 41%. Significa, probabilmente, che quello domestico sta diventando sempre di più un modo per entrare nel mercato del lavoro, che è in crisi nera. Opposto il trend per quanto riguarda i lavoratori domestici stranieri, sempre sotto i trent’anni: dal 2012 al 2019 il calo è stato costante, invertito soltanto nel ’20 e nel ’21 ma solo grazie al fatto che sono state adottate procedure di emersione per fronteggiare la pandemia. Complessivamente, però, fra il 2012 e il 2021 il numero di lavoratori stranieri nelle nostre case è crollato del 64%. È stato così, con il calo degli stranieri, che la componente di italiani nel lavoro domestico è passata dal 9,9% al 29,9% del totale. Quasi uno su tre, insomma, mentre prima gli stranieri primeggiavano in modo schiacciante.

Sempre secondo i dati che Domina ha ricavato dall’Inps, emerge che 20.467 lavoratori domestici – in regola con i contributi – nel 2021 avevano meno di trent’anni. E, com’è intuibile, primeggiano le donne, che sono l’83% del totale. Oltre la metà dei lavoratori domestici italiani della stessa fascia d’età è inquadrato come colf (55,6%), il 44,4% fa il badante. Mediamente guadagnano 3.600 euro l’anno, perché hanno in prevalenza l’orario ridotto (il 56% lavora meno di 19 ore alla settimana) e perché la metà dei contratti non va oltre i sei mesi d’impegno. Solo il 6% di questi giovani lavoratori supera i diecimila euro di retribuzione annua, soprattutto perché solo il 9% lavora almeno 35 ore a settimana. Il 46% di questi lavoratori italiani giovani è al Sud.

Il maggior numero di lavoratori domestici è in Sardegna (sono 3.500 quelli per cui si versano i contributi all’Inps), quindi addirittura più che in Lombardia (2.400) e nel Lazio (duemila). Questo, malgrado l’Isola sia assai meno popolosa, con i suoi 1,6 milioni di abitanti, ma questo primato è dovuto al fatto che in Sardegna l’81,9% dei lavoratori domestici ha la cittadinanza italiana. Detta meglio e con maggiore precisione, sono sardi.

Resta da vedere quanto incidono questi under 30 impegnati nei lavori domestici, sul totale di quelli che ci sono in Italia. Nel Sud sono l’8,5%, al Nord il 6%, al Centro il 6,8%, per una media nazionale del 7,1%. E la Sardegna, con il suo 8,9%, come detto è seconda nella classifica nazionale, dopo la Calabria.

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