Metti una sera di fine estate nell’antica città umbra del Grifo e del Leone: tra le vie medievali di Perugia capita di fare incontri speciali. Uno di questi è quello con due vitigni storici, il Grechetto e il Sagrantino. Due autoctoni che molto bene raccontano lo slancio antico e moderno di queste terre. Appassionarsi a due protagonisti umbri dell’enologia nazionale è qualcosa di immediato. Significa apprezzare quella parte dell’Italia centrale che non smette di incantare con le sue atmosfere e i suoi paesaggi. Nel fine settimana settembrino, da venerdì 15 a domenica 17, Perugia ha voluto celebrare la grande tradizione della vigna e del buon vino: in una vetrina diffusa lungo i salotti storici del capoluogo (Piazza della Repubblica, Piazza Italia, Giardini Carducci) 33 cantine provenienti da ogni angolo della regione hanno proposto le loro produzioni. E la prima edizione di “UWine”, il festival del vino 2023, ha riservato grandi attenzioni appunto ai vitigni tipici di queste distese pianeggianti e verdi colline. Grechetto e Sagrantino, due universi di storia e qualità.

GRECHETTO. Strozzavolpe, Pulce, Pulcinculo bianco, Occhietto, Grechetto nostrano o Greco spoletino, Greco bianco di Perugia. Sono alcuni nomi di questo vitigno che Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia dichiarava “pecularis est tudernis”, ovvero tipico delle terre di Todi, culla medievale in provincia di Perugia. Il vitigno particolarmente presente nell’Italia centrale, per la sua importante diffusione in Umbria è considerato autoctono di questa regione. Unito ad altri bianchi (Trebbiano toscano, Malvasia bianca,Verdello per esempio), crea la Doc Orvieto, un classico dell’enologia italiana. In purezza regala freschezza, piacevole acidità ed eleganti timbri fruttati e aromatici. Il nome fa pensare a un’origine greca, come molti altri vitigni che riprendono lo stesso appellativo, seppure con caratteristiche differenti. È probabile che queste uve siano arrivate nella Penisola grazie ai coloni greci e alle prime città della Magna Grecia e quindi dal meridione italiano le barbatelle si sarebbero diffuse nell’entroterra e nella centralissima Umbria. Secondo altre ipotesi però il termine Grechetto avrebbe un’origine medievale, e deriverebbe dalle analogie di aromi e colore con uve elleniche. Il Grechetto umbro comprende due varietà di uva, piuttosto diverse tra loro: il Grechetto di Orvieto (clone G109) e il Grechetto di Todi, (G5), dal 1970 iscritti nel Registro nazionali delle varietà di vite. I due cloni presentano chiare similitudine ampelografiche ma va rilevata una netta diversità genetica. Per il Grechetto di Todi è accertata una certa corrispondenza con il Pignoletto emiliano e la Ribolla Riminese.

Perugia, lo stand della cantina Tudernum (r. r.)
Perugia, lo stand della cantina Tudernum (r. r.)
Perugia, lo stand della cantina Tudernum (r. r.)

La cantina cooperativa Tudernum, fondata nel 1958, prende il nome dell’antica cittadina di Todi. Oggi conta un centinaio di soci conferitori con un vigneto sociale esteso circa 200 ettari e una produzione che si aggira sui 20mila quintali di uva all’anno. «Produciamo vini a denominazione d’origine che hanno avuto importanti riconoscimenti nazionali e internazionali e che per una politica aziendale della nostra cooperativa proponiamo a prezzi molto competitivi», spiega una giovane socia della cantina, immancabile al primo festival enologico perugino "UWine". Todi Grechetto Doc, 2022, con i suoi 13,5 gradi è una grande espressione di G5 vinificato in purezza.  Fresco, acido e ricco di frutta come deve essere un elegante Grechetto di forte personalità e morbida gradevolezza.

Perugia, degustazione dei vini della cantina Vetunna (r. r.)
Perugia, degustazione dei vini della cantina Vetunna (r. r.)
Perugia, degustazione dei vini della cantina Vetunna (r. r.)

SAGRANTINO. «Il Sagrantino di Montefalco è un vitigno che rappresenta il frutto prezioso di una terra dove arte, cultura e storia si fondono nella realtà contadina. Il Sagrantino è un vino che non si concede immediatamente una volta versato nel bicchiere, un vino che ha bisogno di tempo per liberare i suoi profumi e i suoi sapori, così come la gente di questi luoghi, inizialmente così diffidente e ritrosa, ma che poi si apre alla amicizia vera, duratura, sincera». È questo l’incipit di un bellissimo viaggio di immagini e di sapori, virtuale quanto sorprendentemente reale, che la Confraternita del Sagrantino nata nel 1982 ha voluto offrire a chi si avvicina a questo meraviglioso pianeta vitivinicolo.  

UWine, lo stand dell'azienda di Montefalco Benedetti & Grigi (r. r.)
UWine, lo stand dell'azienda di Montefalco Benedetti & Grigi (r. r.)
UWine, lo stand dell'azienda di Montefalco Benedetti & Grigi (r. r.)

LA STORIA. Anche per la ricerca delle fonti di questo vitigno viene in soccorso Plinio il Vecchio: ricorda un’uva pregiata nominata Itriola presente a Bevagna e nel Piceno che si ipotizza possa essere riconducibile al Sagrantino. In realtà sino all’alto Medioevo nonostante le fonti antiche rivelino spesso l’importanza economica e sociale delle vigne e del vino in questi centri non appare la parola Sagrantino. Bisogna risalire a metà del Cinquecento per intercettare la menzione, per ora, più antica. Riguarda un’ordinazione di mosto di Sagrantino di Montefalco da parte di un mercante di Trevi e di sua moglie. Di qualche decennio successivo (1575) è invece il contratto di mezzadria in cui si citano “quattro pergole di Sagrantino”. Poco si sa anche sull’origine geografica di questo vitigno. Si pensa comunque che non abbia una nascita locale ma sia una varietà originaria dell’Asia Minore o, forse, importata da uno dei numerosi seguaci di San Francesco. Non si esclude inoltre che possa essere giunto in Umbria al seguito dei numerosi pellegrini che per vari motivi si trasferivano in questi territori. Il nome deriverebbe, ma anche in questo caso al momento non c’è un riscontro storico documentato da fonti certe, dall’uso di questo vino dolce passito (vino sacro o di sagrestia, appunto Sagrantino) durante le celebrazioni della messa. La fortuna di questo vino va scomparendo progressivamente nei secoli successivi, si assiste così a un inesorabile periodo di crisi della viticoltura e in particolare della coltivazione di questo vitigno. Il passito viene abbandonato, non c’è mercato e il culmine di questa crisi si raggiunse a metà del Novecento con produzioni limitatissime e in massima parte per uso familiare. Una gemma enologica unica che rischiava di finire nell’oblio. Bisognerà aspettare la vendemmia del 1972 per vedere il suo meritato riscatto. Quell’anno segna infatti un punto fermo: per la prima volta si vinifica nella tipologia “secco”. Ed è una rivelazione. La Doc arriva nel 1979, e nel 1992 la Docg: è la sua seconda vita. Un cammino giunto sino ai giorni d’oggi costellato da continui successi. Il festival di Perugia ne è una conferma. Grande interesse per questo rosso autoctono identitario, sontuoso e dai grandi tannini, avvolgente e longevo. I Comuni del Sagrantino: Bevagna, Gualdo Cattaneo, Castel Ritaldi, Giano dell’Umbria e su tutti il borgo di Montefalco. La cittadina chiamata la Ringhiera dell’Umbria con i panorami stupendi che dall’alto della sua collina è possibile ammirare: l’ampia distesa da Spoleto a Trevi, da Foligno a Bevagna, Spello, Assisi e naturalmente l’antico capoluogo: protetto dall’elegante Grifo alato come il Grechetto, e dal muscoloso Leone secolare e mistico come il Sagrantino.

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