La gente si divide tra quelli che fanno le cose all’ultimo momento e quelli che mentono, diceva qualcuno. In realtà è una battuta ingenerosa: le persone che sanno organizzarsi per tempo esistono e non sono nemmeno poche, anzi poi si arriva a quei casi un po’ bizzarri di chi a settembre sta già acquistando i regali di Natale. Eccessivo? Non per chi lo fa, se è ciò che gli garantisce equilibrio: di sicuro, all’estremo opposto dello spettro dei comportamenti sta invece chi, per qualsiasi compito gli spetti, non riesce ad attivarsi seriamente se non quando il tempo a disposizione sta per scadere. Ed è questa la condizione che attira di più l’interesse degli studiosi della psiche.

Perché, in effetti, procrastinare è di per sé una scelta irrazionale, in quanto poco conveniente. Non c’è dubbio che ridursi all’ultimo determini maggiore stress, legato tra l’altro al rischio che il minimo contrattempo impedisca di portare a termine quel che si doveva fare. Eppure quasi tutti, prima o poi, ci troviamo nella situazione di dover risolvere qualche problema in extremis (e non per forza maggiore ma per la nostra inerzia); e per alcuni questa è addirittura una condizione normale, talora persino indispensabile per poter agire con efficienza. Com’è possibile?

Errori cognitivi

Le ricerche sul campo hanno messo a fuoco varie possibili cause. Le ha riassunte di recente Pragya Agarwal, docente di scienze sociali alla Loughborough University (Regno Unito), in un articolo sulla rivista di divulgazione scientifica The Conversation. Con una buona notizia per chi è sempre alla rincorsa del tempo sprecato: non sempre rinviare è un male, a volte può addirittura servire a trovare una soluzione migliore.

Stando a quello che scrive Agarwal, ci sono vari bias (pregiudizi, errori cognitivi) che inducono a procrastinare le cose da fare, anche a costo di caricarsi di ansia e insoddisfazione. Per esempio (bias del presente) si tende a sottovalutare le conseguenze positive o negative di un’azione futura, e questo porta a dedicarsi all’attività al momento più gratificante – sedotti dal vantaggio immediato che comporta – ignorando i problemi in cui incorreremo rinviando l’impegno più gravoso. Oppure entra in gioco la sostanziale pigrizia autoconservativa del nostro cervello (bias dello status quo): siamo di fatto programmati per evitare il carico di lavoro psichico, e quindi tutto ciò che richiede un adeguamento dei nostri schemi mentali.

Alcuni esperimenti, utilizzati anche nell’ambito dell’economia comportamentale, confermano queste inclinazioni comuni. In un gruppo di studenti utilizzati come “cavie” da Leonard Green e Joel Myerson, ricercatori del dipartimento di Psicologia della Washington University di St. Louis (Missouri), una netta maggioranza ha preferito ricevere la somma immediata di 150 dollari anziché 200 nel giro di sei mesi. Oppure, 100 subito piuttosto che 120 dopo un mese: eppure, se invece i 100 dollari fossero stati promessi dopo dodici mesi e i 120 dopo tredici, a quel punto la maggioranza sarebbe ritornata a scegliere la somma più alta. Come a confermare che l’idea del tempo da far trascorrere altera la nostra percezione di ciò che consideriamo guadagno o perdita.

I comportamenti

Non sono questioni puramente teoriche: incidono pesantemente sulle nostre scelte pratiche, per esempio quando si tratta di decidere un investimento monetario, o magari se acquistare un bene più costoso ma anche più durevole. Proprio l’economia comportamentale (consacrata dal premio Nobel assegnato nel 2017 a Richard Thaler) ci ha spiegato che spesso, in questi frangenti, gli esseri umani non si comportano con la perfetta razionalità presupposta dall’economia tradizionale. Per dire: il danno legato al rischio di perdere 100 euro viene considerato molto più grave rispetto al possibile beneficio che deriverebbe se ci regalassero la stessa somma.

Cincischiare con lo smartphone è ormai il modo più facile per distrarsi dalle cose da fare (Foto Ansa)
Cincischiare con lo smartphone è ormai il modo più facile per distrarsi dalle cose da fare (Foto Ansa)
Cincischiare con lo smartphone è ormai il modo più facile per distrarsi dalle cose da fare (Foto Ansa)

Tutto questo fa capire appunto come, anche quando si tratta di fare qualcosa o rimandarla a domani, possiamo spesso crearci problemi con le nostre stesse mani. Al giorno d’oggi, il modo più semplice per cincischiare senza produrre niente è guardare lo smartphone ossessivamente. Le perdite di tempo sui social sono infinite. La psicoterapeuta Elena Maria Rossi ha scritto, sul sito del Centro medico Santagostino, che le ragioni del rinvio vanno “dal perfezionismo al timore delle responsabilità, dall’insuccesso all’evitamento del dovere”. Può anche diventare un problema cronico, con sintomi abbastanza riconoscibili: “Confusione mentale, sensazione di impossibilità a portare avanti i propri obiettivi, insoddisfazione costante, sensazione di essere meno capaci”.

Ciononostante, “procrastinare non è un segno di pigrizia, come spesso viene etichettato”, ci consola Pragya Agarwal, e “non è sempre un fatto negativo. A volte ci offre l’opportunità di riflettere meglio ed eliminare le incertezze. E le ricerche mostrano che può aiutarci a governare emozioni difficili, arrivando potenzialmente a fare alla fine un lavoro migliore”.

È vero però che la tendenza a rinviare può diventare un ostacolo pesante, capace di condizionarci in maniera molto negativa. Tanto che potrebbe richiedere l’aiuto di una psicoterapia, per imparare magari a scomporre mentalmente i compiti più gravosi in segmenti che facciano meno paura. Ma soprattutto, raccomanda la professoressa, “bisogna perdonare se stessi per il fatto di procrastinare. Più interiorizziamo il senso di colpa, più probabilmente finiremo per rinviare in misura ancora maggiore le cose importanti”.

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