Se il nuovo regolamento europeo sul Packaging, ossia imballaggi e confezioni per i prodotti alimentari e beni di consumo, entrasse in vigore domani dovremmo dire addio subito alle bustine dello zucchero, a quelle per l’insalata e alle posate monouso per il cibo da asporto. Insomma, una vera rivoluzione quella prevista dalla Commissione ambiente del Parlamento europeo che la scorsa settimana ha adottato una proposta di regolamento con 56 voti a favore, 23 contrari e 5 astensioni. Ora, tra il 20 e il 23 novembre, la proposta sarà discussa dal Parlamento in sessione plenaria mentre poi si aprirà la discussione tra l’assemblea e il Consiglio europeo per l’approvazione definitiva. E ancora una volta, la divisione tra i Paesi membri è evidente, a iniziare dal fatto che l’Italia ha in corso un vero e proprio braccio di ferro con l’Ue sul regolamento: noi samo molto avanti sul fronte dell’economia circolare in questo settore e si dovrebbero rivedere tante cose alla luce di posizioni dell’Ue che da Roma vengono definite più ideologiche che di buon senso.

Le ragioni

L’obiettivo dell’Unione europea è di abbattere e ridurre al minimo i rifiuti da imballaggi nel Vecchio continente. Nel 2009 i Paesi dell’Ue nel loro complesso producevano 66 milioni tonnellate di rifiuti provenienti da imballaggi, che sono divenuti 84 nel 2021: ogni cittadino europeo ne ha generato 188,7 chili nell’arco di dodici mesi che, secondo le proiezioni, potrebbero diventare 209 chili nel 2030. Chiaramente si tratta di una media, visto che ci sono Paesi in cui il riciclo è più avanzato e altri in cui invece si è più indietro. E l’Italia è tra gli Stati virtuosi: ecco perché il ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin, si è opposto al nuovo regolamento, portando come prova proprio i dati del riciclo, forniti in particolare dai consorzi che si occupano della plastica o della carta. In sostanza, puntare di più sul riuso e il recupero dei materiali non è un obiettivo valido, secondo i protagonisti italiani della filiera che si occupa del riciclo di plastica e carta perché già questo avviene in Italia.

Cosa cambia

La proposta di Regolamento europeo, invece, impone di vietare ad esempio la vendita di sacchetti molto leggeri (per esempio quelli utilizzati per la verdura) e ridurre in particolare proprio la plastica negli imballaggi, con obiettivi graduali: 10% di tagli entro il 2030, 15% entro il 2035 e 20% entro il 2040. Già dal 2025, tuttavia, si dovrebbe ridurre l’utilizzo della plastica in modo drastico, utilizzando sempre più materiale riciclato e bioplastica. Quindi, si torna al contenitore che ci si porterà dietro da casa per cibi e bevande d’asporto. Se questo appare facile per le bevande, sempre più oggi si vedono i contenitori personali ad esempio al posto delle bottigliette di plastica, più difficile appare per chi oggi ha creato un business intorno ai cibi da asporto, dai negozi che vendono Kebab fino a quelli che preparano e consegnano Pokè.

Per andare sul pratico, potrebbero sparire le bustine dello zucchero, la busta dell’insalata, la monoporzione del ketchup, dell’olio o della maionese o ancora il flaconcino dello shampoo in hotel. E tutto questo potrebbe già avvenire entro il 31 dicembre 2027. Chi offre servizi di catering, poi, non potrà fare affidamento sulle stoviglie usa e getta ma dovrà invece fornire posate riutilizzabili. Per quanto riguarda i supermercati, invece, la frutta o la verdura potrà essere venduta in buste e contenitori di plastica soltanto se il contenuto ha un peso superiore a 1,5 chili. Per il resto ci si abituerà dunque ai contenitori da riempire e riutilizzare. Infine, la Commissione ambiente del Parlamento Ue ha anche previsto che ogni Paese membro raggiunga un livello di raccolta differenziata del 90% dei vari materiali di imballaggio (dalla plastica al legno, ai metalli ferrosi, alluminio, vetro, carta e cartone) entro il 2029.

Il dibattito

Se Parigi e Berlino spingono per il nuovo regolamento, Roma frena. Non che il Governo italiano non sia d’accordo con gli obiettivi ambientali quanto con una visione molto ideologica del problema della riduzione della diffusione della plastica nel pianeta. La parola d’ordine nel nostro Paese è da tempo riciclo ed economia circolare. E funziona, visto che l’Italia ha numeri maggiori rispetto a molti altri Stati ma soprattutto ha un’economia che si muove e fa business proprio nel riciclo dei materiali utilizzati negli imballaggi. Se la Germania è avanti nel riutilizzo di contenitori per il latte o la birra, l’Italia invece ha un’industria fiorente nel recupero e riciclo dei materiali. Quindi non riduzione dei rifiuti, ma riciclo è la parola d’ordine di Roma. Tanto che alcuni esponenti italiani hanno presentato emendamenti in Commissione ambiente del Parlamento per cancellare i target di riuso e di divieto per i prodotti monouso, ma non sono passati per pochi voti. E con il riuso, molti settori che rappresentano una forza nel nostro Paese, dalla ristorazione fino alla grande distribuzione e alla filiera alimentare, potrebbero entrare in crisi. “ll voto conferma le nostre preoccupazioni – ha detto il ministro Gilberto Pichetto Fratin - perché si continua ad andare verso un sistema che non valorizza il modello vincente italiano, ma lo mette a rischio. Continueremo la nostra battaglia in tutte le sedi comunitarie per difendere le ragioni di una filiera innovativa, che supera i target Ue con diversi anni di anticipo, che dà lavoro tutelando l’ambiente e affermando i più avanzati principi dell’economia circolare”. “Non si possono improvvisamente cambiare le regole, passare dal riciclo al riuso, perché le imprese italiane si erano mosse molto bene nel rispettare le indicazioni sulla sostenibilità” ha aggiunto il ministro delle Imprese, Adolfo Urso.

Ora, dunque, si attende il voto nella plenaria del Parlamento e da Roma sperano che vengano proposte e approvate alcune modifiche importanti sia sul fronte dei target da raggiungere che su quello degli obiettivi generali, puntando decisamente sul riciclo.
 

© Riproduzione riservata