Si può arrivare in salute a cento anni pur non avendo coltivato relazioni significative nel corso della propria vita?
I ricercatori tendono ad escluderlo: studiando le cosiddette zone blu, ovvero le cinque zone in cui vivono le persone più longeve del pianeta, hanno potuto scoprire che, per avere un vita lunga e sana, non solo è fondamentale curare l’alimentazione e l’attività fisica, ma anche, se non di più, coltivare le relazioni sociali. 
I centenari sparsi ai quattro angoli del pianeta, in Italia (la provincia di Nuoro), in Giappone (Okinawa), in Grecia (Ikaria), in Costa Rica (Nicoyan) e in California (Loma Linda), hanno in comune infatti un modo di vivere semplice, in cui la dieta è prevalentemente vegetariana, lo sport consiste nel coltivare il proprio orto o fare i lavori domestici, ma soprattutto la vita è fiducia nel prossimo e, magari, anche in un dio. Si è notato, infatti, che il segreto per una vita lunga non è solo nel patrimonio genetico (che influisce ma solo per il 25%) e neppure soltanto nel mantenersi in forma seguendo un’alimentazione sana e praticando molta ginnastica: tutto ciò è fondamentale, ma non è abbastanza. 
Conta molto di più avere fede: negli altri, in sé, in un dio. Quasi tutti i centenari, difatti, avevano investito tempo e fatica per costruire una famiglia solida e amicizie salde; coltivavano il senso di appartenenza ad una comunità; davano ancora uno scopo alla propria vita. Tutto ciò è il segreto per sentirsi felici di svegliarsi la mattina, anche in tarda età. 
“I soldi non fanno la felicità” recita un vecchio adagio e gli studi degli economisti lo confermano: per quanto un reddito solido aiuti nella ricerca della felicità, essa aumenta con la crescita del conto in banca solo fino ad un certo punto, poi addirittura decresce: è il cosiddetto paradosso di Easterlin, così chiamato dall’economista che lo scoprì negli anni ’70. 
E d’altronde già da decenni, a fianco al PIL dei Paesi, sono nate altre sigle che registrano il benessere sociale e che comprendono anche altri fattori, oltre a quello economico, come l’aspettativa di vita alla nascita o l’accesso all’istruzione.
Ma allora, se non i soldi, cosa può renderci felici? Il riconoscimento sociale e le relazioni durature e significative, come è stato confermato da uno studio che, iniziato nel 1938 tra gli studenti del secondo anno di Harvad, ha seguito 268 di loro per ottant’anni: i diciannove ancora in vita hanno risposto per anni a questionari e interviste confermando che i legami sociali, più del successo e del benessere economico, danno entusiasmo e motivazione e ritardano il declino fisico e mentale. Infatti la felicità, ormai è noto, sviluppa endorfine che fanno bene al cuore e non solo. 
Dunque buon patrimonio genetico, una corretta alimentazione, una moderata attività fisica, ma soprattutto rapporti solidi e soddisfacenti possono farci vivere a lungo e felici. 
Si muore, infatti, più per solitudine che per  le malattie tipiche dello stile di vita occidentale, come ha affermato Robert Waldinger, docente di psichiatria alla Harvad Medical School.

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