Magari non è vero che “ogni sardo è un’isola”, come disse Gramsci, ma dopo le ultime riforme degli enti locali si potrebbe concludere che ogni sardo è una provincia, o quasi. Se la proporzione demografica generale fosse quella applicata in Sardegna, l’Italia dovrebbe avere almeno 300 enti intermedi. Basterebbe questo dato per capire che c’è qualcosa da analizzare, nella pulsione a parcellizzare ulteriormente un territorio ampio ma scarsamente popolato, ricavando spazi di potere locale di cui però non si sa bene cosa fare. Anche se l’esito dell’analisi potrebbe non essere necessariamente sfavorevole alla moltiplicazione delle autonomie.

Nella curiosa oscillazione che da un quarto di secolo caratterizza nell’Isola questa tematica (metti le province, togli le province), ora il pendolo si è spostato di nuovo verso un assetto con più enti intermedi. Il voto favorevole del Consiglio regionale alle misure attuative dell’ultima controriforma, arrivato a settembre col Collegato alla manovra finanziaria, riporta a otto il numero delle circoscrizioni sovracomunali, pur con diverse denominazioni: Cagliari e Sassari potranno fregiarsi del titolo di Città metropolitana, le province saranno le altre sei (Nuoro, Oristano, Gallura, Sulcis, Medio Campidano e Ogliastra).

Il rapporto medio con la popolazione ritorna così alle cifre di inizio secolo, grosso modo un ente ogni 200mila abitanti, nettamente inferiori alla media nazionale, che ne annovera più o meno uno ogni 550mila. Addirittura uno ogni 588mila se si calcola solo il resto d’Italia, sottraendo la Sardegna dal totale. È scorretto fare valutazioni – e magari scelte politiche – sulla base di criteri puramente aritmetici; eppure l’enormità della differenza non può non suscitare qualche riflessione. Soprattutto perché si sta ragionando di funzioni amministrative di area vasta, utili per gestire problemi su cui la dimensione meramente comunale non incide adeguatamente.

Cosa dicono i numeri

Insomma, da quale soglia demografica si può parlare di “area vasta” che richieda una governance specifica? Con un secondo quesito, complementare: la soglia può davvero essere definita solo in base alla popolazione, o devono essere tenute in considerazione altre variabili come l’estensione territoriale (che esprime appunto la “vastità” di un’area)?

Le opinioni in materia sono varie: se però ci si limita alle aride cifre, non c’è dubbio che la soluzione adottata in Sardegna sia quanto meno originale rispetto al resto d’Italia. Il che, a seconda di come la si pensi, può essere un valore o un disvalore. Per esempio, una prima considerazione può basarsi sul raffronto dei residenti nelle 110 province del Paese. Col ritorno a otto, quelle sarde si ricollocano in coda alla graduatoria: tre delle ultime quattro, sei delle ultime undici. È l’Ogliastra a occupare l’ultima posizione, con poco più di 57mila anime, meno di un millesimo dell’intera popolazione d’Italia. Notevole il distacco dalla penultima, che è Isernia con quasi 86mila abitanti. Ce n’è solo un’altra sotto quota 100mila, “mancata” per circa 1.400 unità (almeno secondo il sito comuni-italiani.it), ed è il Medio Campidano. Il Sulcis Iglesiente, quart’ultimo, arriva già a 126mila cittadini.

Maggio 2005: la targa della neonata Provincia del Medio Campidano viene montata nella sede di Sanluri
Maggio 2005: la targa della neonata Provincia del Medio Campidano viene montata nella sede di Sanluri
Maggio 2005: la targa della neonata Provincia del Medio Campidano viene montata nella sede di Sanluri

Poco più su, superate Aosta e Gorizia, al gradino 104 della classifica si trova Nuoro (156mila abitanti), mentre Oristano e la Gallura, entrambe attorno a quota 160mila, si contendono per poche decine di residenti la posizione numero 100: in questa statistica prevale Oristano, relegando Olbia-Tempio alla 101esima, davanti alla provincia piemontese del Verbano-Cusio-Ossola e a Rieti.

La popolazione della Città metropolitana di Sassari, in attesa dell’istituzione ufficiale dell’ente, regala al capoluogo del nord-ovest la 65esima piazza, a quota 333mila; molto più avanti il nuovo assetto dell’altra Città metropolitana, quella di Cagliari, che passando da appena 17 Comuni a 72 arriverà alla posizione 32, con 560mila residenti. Gli enti più popolosi sono naturalmente quelli delle grandi metropoli: Roma con 4,3 milioni di abitanti (oltre il 7% di tutti gli italiani), poi Milano e Roma sopra i 3 milioni, Torino con 2,2. Al quinto posto Palermo (1,2 milioni) supera di pochissimo Brescia e Bari; completano la top ten Catania, Bergamo e Salerno, oltre quota 1 milione e 100mila, mentre stanno sopra il milione anche Firenze e Bologna.

L’altra graduatoria

Se però si guarda alla superficie, i rapporti cambiano parecchio: per esempio i 1.854 chilometri quadrati dell’Ogliastra oltrepassano l’estensione non solo di altri due enti sardi (Sulcis e Medio Campidano), ma di ben 35 province in tutta Italia, tra cui – per dire – Milano, Napoli e Genova. E allora, ritornando al discorso delle funzioni di area vasta, siamo sicuri che la scarsa popolazione ogliastrina basti a rendere insensata la relativa provincia?

«Le funzioni non sono legate agli abitanti ma alla superficie», argomenta Roberto Deriu, consigliere regionale del Pd e storico difensore delle province (lui che presiedeva quella di Nuoro) quando, nel 2012, i referendum regionali spazzarono via quelle nate nel 2005. «La Sardegna ha una superficie più estesa della Lombardia. Ed è vero che siamo poco più di un milione e mezzo di persone, ma per esempio in estate dobbiamo garantire servizi per una popolazione molto più ampia, alimentata dai turisti e dal rientro degli emigrati».

Roberto Deriu (Pd) all'epoca in cui presiedeva la Provincia di Nuoro
Roberto Deriu (Pd) all'epoca in cui presiedeva la Provincia di Nuoro
Roberto Deriu (Pd) all'epoca in cui presiedeva la Provincia di Nuoro

I servizi da garantire, nota Deriu, «non sono direttamente rivolti ai cittadini ma ai territori: che hanno bisogno di manutenzione e connessione. La prima si esprime nel controllo del territorio stesso: ambiente, acqua, fauna. La connessione invece riguarda la viabilità, le scuole superiori, tutte quelle funzioni che non si riferiscono alla popolazione di un solo Comune».

Il ritorno delle Province, per altro, non assicura la certezza che tali funzioni saranno gestite al meglio. Dipenderà dalle risorse che otterranno, ma anche dalla qualità amministrativa di chi le guiderà. Le norme appena approvate dal Consiglio regionale aprono una fase di riassetto che dovrebbe concludersi, nella primavera del 2024, con l’elezione dei nuovi presidenti e organismi provinciali: per ora, salvo modifiche delle normative nazionali, un’elezione di secondo livello, ossia riservata ai sindaci e non ai cittadini dei singoli territori. Ma nell’ondata di riflusso che in tutta Italia, dopo la furia anti-province da spending review, sta portando a rivalutare il ruolo degli enti intermedi, sempre di più ci si chiede se abbia senso avere istituzioni dotate di poteri rilevanti, e sottrarle al controllo democratico del voto popolare.

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