Da che mondo è mondo, la piaga degli incendi e la Sardegna rappresentano un binomio tragico che non si spezza. Da sempre l’Isola è stata flagellata da siccità, incendi e carestie. Le prime norme sul fenomeno dei fuochi che interessano da sempre ampi tratti del territorio risalgono addirittura alla Carta De Logu, quando la giudicessa Eleonora d’Arborea scrisse, nel 1392, che i fuochi non erano permessi fino ai primi di settembre e soprattutto si prevedevano pene severe per chi era colpevole di un rogo colposo, ma soprattutto per chi appiccava le fiamme dolosamente, tanto da pagare anche con la morte o il taglio della mano destra per questo reato.

L’evoluzione

“Nel corso dei secoli abbiamo avuto varie legislazioni sugli incendi in Sardegna”, spiega Ugo Calledda, già commissario e responsabile del nucleo investigativo del Corpo forestale della Sardegna. Da studioso delle norme giuridiche applicate al settore ambientale e forestale, ha esaminato molte sentenze antiche in cui si parla del fenomeno dei roghi nell’Isola. “Nel 1800 – racconta – era stato previsto l’istituto dell’incarico: se non si individuava il responsabile dell’incendio i danni venivano pagati dall’intera collettività”. Con la nascita delle compagnie barracellari, poi, nel 1898, una delle competenze attribuite alla “polizia rurale” fu proprio quella di prevenire e intervenire sugli incendi boschivi. Concetti ripresi dalle successive normative, dalla prima legge forestale del 1923, fino alla 47 del 1975 e quella attuale, la 353 del 2000. Norme che sono servite a ridurre gli incendi anche se la piaga non è stata debellata pur con cause differenti al giorno d’oggi.

Ugo Calledda
Ugo Calledda
Ugo Calledda

Le campagne oggi

Il mondo zootecnico dell’Isola, negli ultimi anni, è profondamente cambiato e con esso le cause degli incendi. “La Sardegna da sempre ha avuto un’economia pastorale che si basava sulla transumanza e queste usanze erano correlate anche al problema degli incendi: in passato, i pastori erano soliti, quando si spostavano con il bestiame, appiccare il fuoco nelle zone che lasciavano, perché ritenevano così di incrementare le aree di pascolo rispetto a quelle boschive e soprattutto di trovare poi terreni più prolifici al loro ritorno: la cenere poteva fungere da concime”, spiega ancora Ugo Calledda. Con il venir meno della transumanza, “oggi le aziende sono sostanzialmente stanziali e operano in aree più definite”, il fenomeno è praticamente scomparso, racconta, aggiungendo che fino agli anni Novanta si registravano invece episodi legati a queste motivazioni.

Dolo e colpa

Posto che, secondo i dati del Cnr, il 98% degli incendi è provocato dall’uomo, bisogna però distinguere tra fatti dolosi e colposi. “Il 60% circa è della prima categoria e il 30% della seconda”, spiega Calledda che consulta i numeri aggiornati della banca dati della Regione Sardegna. “Alla fine degli anni Novanta abbiamo creato un catalogo degli incendi in cui è possibile analizzare il fenomeno, le sue cause e i danni che ha prodotto”, afferma. “Gli inneschi sono in sostanza i fatti naturali o colposi che provocano un incendio e possono essere determinati anche dall’uso di una smerigliatrice o di qualche attrezzo da campagna – afferma Calledda – nelle indagini portate avanti negli anni ci sono stati tanti episodi particolari: ad esempio, il treno che provocava gli incendi. Il sistema frenante non sempre funzionava al meglio e spesso determinava il blocco delle ruote che a contatto con le rotaie producevano scintille che poi facevano propagare le fiamme. Oppure, linee elettriche con una particolare conformazione per cui, quando si posavano gli uccelli, i poli entravano in contatto provocando una fiammata che folgorava l’animale. Quest’ultimo cadendo a terra innescava poi l’incendio”. I fatti colposi, dunque, sono numerosi. “Il peggiore incendio degli ultimi anni, quello del Montiferru, ma anche uno del Monte Ortobene a Nuoro, negli anni scorsi, furono provocati da auto surriscaldate che venivano fermate a bordo strada, cosa che bisognerebbe evitare anche se viene istintivo, innescando così un incendio”, racconta l’ex responsabile del Nucleo investigativo della Forestale sarda.

Gli ordigni

I fatti dolosi comunque continuano a esserci e sono numerosi, determinati “da ordigni incendiari”, come li chiamano in gergo dagli investigatori. Spesso si utilizza la classica sigaretta imbottita di cerini, ma anche la candela posata in un letto di foglie. “Tutti mezzi che danno modo al piromane di allontanarsi tranquillamente prima che le fiamme partano”, afferma Calledda che poi mostra alcune cartine in cui la mappa dei focolai registrati in un anno si sovrappone a quella della rete viaria sarda. “Il maggior numero degli incendi sembra seguire il tracciato delle strade dell’Isola – osserva Calledda – questo perché chi appicca il fuoco lo fa nelle vicinanze della carreggiata per potersi poi allontanare in fretta”. E le ragioni possono essere diverse: “Per esempio, un proprietario che ha affittato il terreno e non riesce a mandare via chi lo ha preso in affitto appicca il fuoco perché la norma dice che dopo un incendio non si può affittare l’area interessata. Oppure – racconta ancora l’investigatore – quando magari la destinazione di un’area a zona urbanistica penalizza altri proprietari in un comune si utilizza il fuoco così sull’area bruciata non si potrà costruire per dieci anni e l’amministrazione dovrà correre ai ripari”. Sono tutte motivazioni registrate in recenti inchieste e sentenze, anche se Ugo Calledda è dubbioso quando si parla di atti terroristici. “Una volta mi capitò di leggere titoli altisonanti sui giornali quando vennero interessate da un grosso incendio i terreni su cui furono girate alcune scene del film “Padre padrone”. Dopo qualche giorno, venne da me un signore che confessò di aver provocato lui l’incendio in maniera casuale dopo aver bruciato qualche stoppia e di essere scappato una volta visto quello che stava accadendo. Nessun terrorista, dunque, ma solo imprudenza”.

Le armi

La prevenzione è decisamente importante così come lo sono le vedette, il cui sistema è presente praticamente soltanto in Sardegna e rappresenta un argine alla piaga degli incendi perché permette di intervenire tempestivamente con i mezzi aerei. “Purtroppo a volte capita che le condizioni climatiche, per esempio il forte vento, non aiutino aerei ed elicotteri, anche perché soprattutto i Canadair, per caricare l’acqua, devono andare in mare o in un lago grande per cui se il rogo è molto distante hanno difficoltà a intervenire con continuità”, conclude Ugo Calledda. La tecnologia può aiutare, ma la prevenzione e le tecniche sempre più affinate messe in atto da uomini e mezzi sul campo fanno il resto. La piaga dei roghi assilla l’Isola ogni anno, non resta che continuare a combatterla anche con strumenti innovativi. È così da secoli.

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