Da 34 anni nell’immaginario collettivo – o almeno nell’archivio visivo di chi ha visto “Gli intoccabili” - la sua arma è la mazza da baseball, quella usata sotto la cinepresa di Brian De Palma per massacrare uno scagnozzo che lo aveva deluso. E quel laghetto di sangue, ripreso dall’alto mentre si allarga sotto la testa martoriata del malavitoso inzuppando la tovaglia candida del ristorante davanti agli occhi inorriditi dei commensali, è un gran paragrafo nella saga pop della criminalità metropolitana.

Ma l’arma personale di Al Capone in realtà era “Favorite”, una Colt semiautomatica calibro 45 modello 1911, un chilo e 105 grammi di metallo (a parte le guancette in corno dell’impugnatura), una tonnellata di peso simbolico nella storia dell’America contemporanea. Quanto al valore economico presumibilmente lo conosceremo l’8 ottobre, quando a Sacramento, California, la Favorita verrà battuta all’asta come pezzo principale di un lotto di souvenir caponiani. Il prezzo di partenza è 50mila dollari ma si stima che durante l’asta possa issarsi fino al triplo.

Può sorprendere, ma nonostante film e serie tv celebrino da anni l’epopea dark dei narcos, colombiani prima e messicani poi, l’appeal sul pubblico che ama rabbrividire davanti a un’icona del male, o almeno del crimine assurto a sistema di potere sfrontato, continua a premiare Alphonse Gabriel Capone, detto Scarface da quando un altro italoamericano, irritato dai commenti del giovane Al su sua sorella, gli aprì una guancia con una rasoiata.

Quel rasoio all’asta di Sacramento non ci sarà, chissà dove è finito. Ma il resto del lotto è zeppo di memorabilia del gangster, un elenco piuttosto lungo per un’esistenza complessivamente breve: 48 anni, dei quali solo alcuni passati davvero in attività visto che gli ultimi 18 furono una lunga dissolvenza. I primi tre della fase della decadenza li trascorse nel carcere di Atlanta dove era finito per evasione fiscale, incastrato da documenti contabili che a differenza dei testimoni di reati ben più gravi non poteva intimidire e costringere alla ritrattazione. Ma Atlanta era una prigione troppo confortevole per Scarface, che aveva carisma criminale e denaro a sufficienza per garantirsi molti privilegi. Quindi arrivò il trasferimento nel ben più austero Alcatraz, dove visse da detenuto modello finché una sifilide contratta da ragazzo gli presentò il conto: un anno nell’infermeria della prigione, poi la scarcerazione del suo corpo mentre la mente veniva imprigionata sempre più cupamente da una demenza scatenata dal batterio. Il crepuscolo si concluse con un ictus che lo colse a Miami, nella villa di Palm Island dove progettò il suo agguato più celebre, quella strage di San Valentino che nel 1929 vide i suoi uomini vestiti da poliziotti massacrare sette gregari di Bugsy Moran in un parcheggio di Chicago.

Per paradosso o per coincidenza, mentre gli oggetti personali di Al Capone vengono offerti dalla casa Witherell’s al miglior offerente quella grande casona bianca è in bilico fra la demolizione – gli immobiliaristi che se l’erano aggiudicata vorrebbero rimpiazzarla con uno stabile più spendibile commercialmente – e la conservazione chiesta a gran voce da chi la ritiene un monumento del lato oscuro americano.

Si tratta di un braccio di ferro da milioni, qualcosa di molto più ingombrante del pur redditizio incanto battezzato “A Century of Notoriety: The Estate of Al Capone” dalla casa d’aste. Eppure anche la vendita dei cimeli caponiani avrà un risvolto economico non trascurabile, la stima complessiva è di 700mila dollari, che peraltro resteranno in famiglia: a mettere a disposizione di Witherell’s gli oggetti sono le figlie di Sonny Capone, le nipoti di Scarface, che un po’ controintuitivamente spiegano di volerli vendere per evitare che il patrimonio di ricordi del nonno vada disperso.

Qualunque sia il senso dell’operazione, dopo la Favorita calibro 45 e un revolver calibro 380 prodotto sempre dalla Colt troviamo, bizzarramente appaiati a 12.500 dollari come base d’asta (si suppone che l’ultima offerta possa viaggiare intorno ai 50mila) l’orologio da tasca Patek Philippe in platino con 90 diamanti del gangster e una lettera che scrisse da Alcatraz proprio a Sonny. Il resto è un assortimento di reliquie che rimbalza fra Gozzano e Romanzo Criminale: porcellane in stile Dresda e altre armi da fuoco, foto viraggio seppia e coltelli a serramanico, un portafiammiferi decorato con oro e brillanti e gli arredi della stanza da letto.

A 74 anni dalla morte del gangster - nato povero a Brooklyn da un barbiere e da una sarta campani, malvissuto a Chicago e morto ricco e immemore in una reggia che avrebbe ammutolito i Casamonica – la sua leggenda pacchiana continua a marciare. Non sparge sangue da decenni, i dollari scorrono ancora.

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