Comprendere con un semplice test del sangue se si ha una malattia degenerativa e costruire una mappa dettagliata del cervello grazie a nuovi studi e a tecnologie innovative. Parkinson, Sclerosi laterale amiotrofica e altre malattie degenerative potrebbero avere meno segreti. E soprattutto essere diagnosticate con molta facilità con conseguenze positive. Gli studi vanno avanti e sono numerosi i centri di ricerca che scendono in campo per cercare di svelare i segreti di disturbi che ancora oggi non sono conosciuti a pieno.

Parkinson

Una novità importante arriva da uno studio guidato da University College London e Centro medico universitario di Goettingen, in Germania, con la collaborazione dell’Università di Bologna e l’Istituto di scienze neurologiche sempre del capoluogo emiliano. Grazie all’utilizzo dell’intelligenza artificiale, è stato messo a punto un test del sangue che riesce a individuare otto marcatori tipici della malattia del Parkinson anche con sette anni di anticipo rispetto alla comparsa dei primi sintomi. Quindi un semplice esame sanguigno basterebbe per individuare non solo il Parkinson ma anche la Sclerosi laterale amiotrofica, che in Sardegna peraltro ha una consistente incidenza rispetto alla popolazione residente.

Le diagnosi precoci, chiaramente, permettono di intervenire tempestivamente e di somministrare terapie efficaci con una prevenzione utile a rallentare la progressione della malattia, visto che in molti casi, come ad esempio il Parkinson, non esistono cure ma solo medicinali utili alla riduzione dei sintomi.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Nature Communications. I risultati dei ricercatori sono stati sorprendenti: infatti, si riesce a diagnosticare i disturbi della malattia di Parkinson con un’accuratezza del 100%. Un test è stato effettuato su 72 persone per valutare la capacità di individuare in anticipo la malattia, monitorata poi per i dieci anni successivi. L’intelligenza artificiale ha permesso di indicare un rischio elevato per il 79% degli individui e le previsioni si sono finora rivelate esatte.

“Man mano che diventano disponibili nuove terapie per il trattamento del Parkinson, dobbiamo diagnosticare i pazienti prima che sviluppino i sintomi”, ha spiegato all’Ansa Kevin Mills dello University College London, che ha coordinato i ricercatori insieme a Brit Mollenhauer del Centro di Goettingen: “Non possiamo far ricrescere le nostre cellule cerebrali – ha aggiunto Mills - e quindi dobbiamo proteggere quelle che abbiamo”.

Demenza e Sla

L’utilizzo della stessa forma di analisi del sangue ha dato ottimi risultati anche per demenza e Sla, come spiega sempre lo studio pubblicato su Nature Medicine e guidato dal Centro Tedesco per le Malattie Neurodegenerative (Dzne). In questo caso, il test si basa su due sole proteine, che però non vengono misurate direttamente nel sangue perché si presentano solitamente frammentate. Con l’utilizzo e l’analisi di minuscole “bolle” di grassi immesse all’interno dei vasi sanguigni con cellule umane si riescono a ottenere livelli di molecole che servono per valutare la presenza di questo tipo di malattie. I test hanno interessato 991 adulti tedeschi e spagnoli, sui quali è stata effettuata una diagnosi definitiva della patologia: fino a questo momento era difficile ottenerla perché, con i metodi conosciuti fino ad ora, si poteva avere soltanto con l’analisi del tessuto cerebrale.

“Inizialmente, è probabile che l’applicazione riguardi la ricerca e lo sviluppo di terapie ma, a lungo termine, ritengo realistico che questi biomarcatori vengano utilizzati anche per la diagnosi nella routine medica”, ha detto all’Ansa Anja Schneider, che ha coordinato la ricerca. “Tuttavia, per questo sono necessari ulteriori studi. Infatti, sarebbe particolarmente importante determinare come i biomarcatori si sviluppano nel corso di una malattia - conclude Schneider - e quanto precocemente si manifestano”.

Il Cern del cervello

La ricerca internazionale che ha visto insieme centri inglesi, tedeschi e italiani, non è l’unica che ha portato novità importanti nel campo della diagnosi del Parkinson. Nei giorni scorsi, infatti, è stato reso noto anche il nuovo progetto Mnesys, un programma di ricerca, il più ampio mai realizzato in Italia, che mette insieme, con uno stanziamento record di 115 milioni di euro, 200 iniziative di ricerca, 500 scienziati di 25 atenei pubblici e privati, enti di ricerca e imprese, e altri 100 giovani ricercatori assunti per circa un anno. I fondi provengono dal Pnrr e il progetto è stato presentato a Napoli al primo Forum nazionale delle Neuroscienze, dove è stato definito un vero e proprio “Cern italiano della ricerca sul cervello”.

“Mnesys è una vera e propria “brain venture” di gruppi di lavoro distribuiti in tutta Italia e guidata dall’Università di Genova”, ha spiegato all’Ansa il direttore scientifico del progetto Antonio Uccelli, ordinario di Neurologia all’Università di Genova e direttore scientifico dell’Irccs Ospedale San Martino. Al centro della ricerca di Mnesys vari ambiti delle Neuroscienze che vanno dagli aspetti fisiologici, come lo sviluppo del cervello dei neonati, fino alle malattie, alla ricerca di soluzioni per patologie come demenze, Parkinson, sclerosi multipla, ictus, depressione che interessano circa il 30% della popolazione italiana. L’obiettivo è quello di sviluppare approcci innovativi, come la creazione di avatar digitali del cervello umano per arrivare a scandagliare nel profondo le malattie neurologiche e la risposta ai farmaci, oltre che la ricerca di biomarcatori, anche in questo caso per la diagnosi precoce. Il progetto “mira a facilitare la scoperta dei meccanismi di funzionamento del sistema nervoso e delle malattie, attraverso la creazione di avatar digitali del cervello umano. Ciò consente esperimenti virtuali per studiare la risposta ai farmaci e alle malattie, accelerando la ricerca attraverso l’integrazione tra medicina e tecnologie informatiche applicate al cervello”, ha aggiunto Sergio Martinoia, ordinario di Bioingegneria all’Università di Genova e coordinatore del comitato scientifico della ricerca.

Cervello e sistema immunitario

Tra i filoni di studio, anche il ruolo del sistema immunitario rispetto alle malattie del cervello. “Nell’ultimo decennio è diventato sempre più evidente che il cervello e il sistema immunitario hanno un fitto dialogo, importante non solo per la difesa del cervello, ma anche per il suo funzionamento”, spiega Gabriela Constantin, ordinaria di Patologia generale e Immunologia all’Università di Verona e coordinatrice di un gruppo di ricerca dedicato alla “Neuroimmunologia e Neuroinfiammazione”. In questo dialogo potrebbe essere rinvenuto dai ricercatori anche uno dei segreti sull’origine di diverse malattie, compreso l’Alzheimer. “Le nostre ricerche stanno dimostrando come i globuli bianchi che circolano naturalmente nel sangue migrino nel cervello e si posizionino vicino ai neuroni nelle zone importanti per la memoria. Questo fenomeno ha un ruolo fondamentale nella malattia di Alzheimer e il suo blocco ha un effetto terapeutico”, aggiunge Costantin.

Una parte importante poi degli studi, infine, è dedicata allo studio di nuove strategie per predire il decorso delle malattie neurodegenerative. Nella Sclerosi multipla in fase precoce, per esempio, “abbiamo identificato l’osteopontina spia del calo numerico e funzionale dei neuroni e delle loro connessioni e della progressione della malattia. Inoltre, la presenza di un’altra proteina, la parvalbumina, all’esordio della malattia anticipa lo sviluppo di danno cerebrale a distanza di 4 anni”, afferma Enrico Cherubini, direttore scientifico dell’European Brain Research Institute Rita Levi-Montalcini (EBRI). Grazie a questi studi, dunque, si potranno mettere a punto trattamenti personalizzati per le malattie neurologiche e mentali, attraverso la cosiddetta medicina di precisione, grazie agli sforzi congiunti di numerosi centri di ricerca per comprendere i misteri del cervello umano.

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