«L’arte non ha bisogno di riuscire simpatica, ma esige grandezza». Le parole di Mario Sironi aiutano a capire le sue opere, esposte in contemporanea nello Spazio Ilisso di Nuoro e nel museo del Novecento di Milano. Doppio evento, in collaborazione con l’Archivio Mario Sironi di Roma e la Fondazione di Sardegna, per celebrare idealmente i 60 anni dalla morte dell’artista, avvenuta nel 1961 a Milano, ricomponendo così il tracciato esistenziale tra l’Isola in cui è nato nel 1885 e la sua città d’elezione. Sironi nasce a Sassari un po’ per caso, da padre comasco e madre fiorentina che un anno dopo si trasferiscono a Roma.

La grandezza della sua arte balza con forza agli occhi dei visitatori che da dicembre si alternano nel museo di Nuoro. Sessanta opere, sotto un titolo forte come “L’eternità del mito”, rappresentano un viaggio nel complesso percorso artistico e umano di Sironi. Per tutti è artista della sintesi, interprete di opere monumentali, realizzate soprattutto negli anni Trenta e destinate alla fruizione pubblica. È la fase in cui abbandona il cavalletto: niente più quadri, considerate opere da salotto decorative e mercificabili, per concentrarsi invece con rigore su contenuti come etica, lavoro e famiglia, posti a fondamento dello Stato. La pittura murale diventa così veicolo per esercitare una funzione educatrice delle masse, come succede con l’arte classica, romana e cristiana, e col Rinascimento.

Sironi firma nel 1933 il Manifesto della pittura murale assieme a Carlo Carrà, Achille Funi e Massimo Campigli. La sua arte sociale, piena di drammaticità moderna, accompagna l’adesione al fascismo che risale al 1919. Realizza tante illustrazioni per “Il Popolo d’Italia”, giornale fondato da Benito Mussolini, di cui è anche critico d’arte: duemila tavole dal 1921 fino al 1942. Nella mostra in corso a Nuoro c’è un interessante repertorio delle illustrazioni del tempo, come il bozzetto per la copertina de l’Espresso nel 1925 e i manifesti pubblicitari d’impatto moderno per la Fiat nell’ambito delle campagne promozionali trentennali.

Allegoria del lavoro di Mario Sironi (foto Orunesu)
Allegoria del lavoro di Mario Sironi (foto Orunesu)
Allegoria del lavoro di Mario Sironi (foto Orunesu)

“L’Italia corporativa”, mosaico del Palazzo dei giornali di Milano, come “L’Italia fra le arti e le scienze”, dell’aula magna dell’università La Sapienza di Roma, opere murali degli anni Trenta, mostrano l’imponenza del messaggio artistico tra vestali e condottieri, protagonisti del nuovo mondo, legato all’eticità del fare. Immagini e parabole che si frammentano negli anni Quaranta con la tragedia della guerra e il crollo degli ideali del Ventennio in cui Sironi aveva creduto, come pure con l’angoscia per la perdita della figlia, suicida a 18 anni. Tornano i paesaggi urbani, cavalli, montagne, ma senza slancio celebrativo. «Non sono rimaste che macerie e paura», dice Sironi nel 1944-45. Parole che anche in questo caso illuminano lo sguardo di fronte ai dipinti sulle periferie o al “paesaggio blu”.

Opere esposte a Nuoro (foto Orunesu)
Opere esposte a Nuoro (foto Orunesu)
Opere esposte a Nuoro (foto Orunesu)

Il rapporto col fascismo è punto focale anche perché Sironi si è ritrovato a un passo dalla fucilazione nella giornata del 25 aprile 1945, a Milano. Viene salvato dallo scrittore Gianni Rodari che è un partigiano, anche un suo estimatore ed è convinto che un grande artista non vada toccato. «Come Rodari anche Sironi ha sempre pensato che si fa l’arte, quale che sia la tecnica con cui la si realizza, a beneficio della società e della comunità tutta, di chi vive con noi e di chi vivrà dopo di noi. L’arte non è rivolta alla politica, non ne è succube né interprete. È rivolta alla gente», spiega Claudio Strinati che cura il catalogo della mostra nuorese e chiarisce: «Sironi è stato un gigante nella storia dell’arte dell’Occidente, un modello di riferimento connotato sia della più eletta qualità grafica e pittorica sia della più nobile qualità morale ed espressiva». Personalità forte, convinta delle sue idee, ma non allineata se Roberto Farinacci, segretario del Partito fascista nel 1933, la stroncava duramente parlando di «arte anti-italiana, antisociale, anticollettiva, giudaica, di accatto degli angiporti dell’internazionale».

«Un vero artista», lo definisce invece Picasso che nel 1959 a Parigi incontra lo scrittore Raffaele Carrieri e chiede notizie di un solo pittore italiano, Sironi appunto.

Una sala della mostra (foto Orunesu)
Una sala della mostra (foto Orunesu)
Una sala della mostra (foto Orunesu)

Sottolinea ancora Strinati: «Il suo stile è coerente e magnifico, dalla più monumentale composizione al più veloce schizzo; il suo tratto grafico infallibile e sintetico, le masse cromatiche, sia dei dipinti mobili sia di quelli murali, compatte e maestose; la severità della forma inflessibile e solenne, qualunque sia il tema trattato. E si è tentati di sostenere come questo dipenda proprio da quella radice da lui avvertita, oscuramente e pure acutamente, della sua provenienza da un mondo come quello sardo, di fatto a lui sostanzialmente estraneo, sia a livello familiare sia personale, ma sentito quale archetipo latente, neppure individuabile nella sfera dell’inconscio».

Nelle sale di Spazio Ilisso, bella villa in via Brofferio a Nuoro, la mostra resta aperta fino al 17 aprile.

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