Prima, doverosissima, premessa: questa non è in alcun modo una pubblicità. È soltanto un sintetico resoconto di un fenomeno che negli ultimi anni sembra aver contagiato anche gli italiani, da sempre grandi appassionati di auto e ora tra i più soddisfatti, quanto insospettabili, proprietari in Europa delle vetture Dacia.

Il marchio emergente nato in Europa dell’est si sta imponendo come alternativa economica ai colossi delle quattro ruote e forse come capostipite di un terremoto che porterà a breve alla ribalta il trend del “low cost di tendenza”.

Il report mensile dello scorso luglio lo ha clamorosamente confermato incoronando uno dei suoi modelli più economici come quello più venduto in Italia nel segmento B, superando addirittura la Lancia Y. Successo consolidato dal traguardo dei 250mila suv immatricolati in Italia negli ultimi 11 anni e dal primato incontrastato nel comparto delle vetture alimentate a Gpl con 22mila vendite registrate in Italia nel solo primo semestre dell'anno.

Partenza a rilento

Un balzo quasi clamoroso per la casa automobilistica rumena, da circa un ventennio entrata in punta di piedi nel mercato continentale puntando tutto sui prezzi stracciati con cui ha proposto nei primi anni modelli dal look esterno e interno spartani, tipici dello stile del blocco ex sovietico.

In realtà l'ingresso dell'azienda nata nel 1966 nel cuore della Romania e poi acquisita oltre trenta anni dopo dalla francese Renault è stato inizialmente snobbato, ma col tempo ha saputo ritagliarsi fette di affezionati sempre più ampie tanto da soddisfare oggi palati esigenti con linee ammiccanti e dotazioni meno essenziali.

Non a caso in molti la chiamano “l'Ikea delle auto” per essere riuscita in modo efficace a sdoganare prodotti a buon mercato rendendoli quasi di moda. Offrendo quindi un giusto compromesso tra prezzo e qualità. Una scelta che in quest'ultimo periodo, complice la crisi innescata dalla pandemia, sembra ottenere un crescente consenso tra gli italiani a corto di risorse, ma pur sempre intenzionati a togliersi qualche soddisfazione al volante.

Senza contare l'esordio nel promettente (e tutt'altro che economico) mercato delle auto elettriche con un'offerta che regala un mezzo green di ultima generazione sborsando meno di 10mila euro (grazie agli incentivi).

Strategia

Certo, fare un confronto con le case storiche tedesche, francesi e giapponesi è ancora improponibile, ma non è mai stato in realtà l'obiettivo dell'azienda fondata oltre mezzo secolo fa per volontà dello spietato dittatore Nicolae Ceaușescu.

Lo si capisce dalle parole del responsabile per l'Italia del marchio franco-rumeno, Guido Tocci, che ha recentemente lanciato uno sguardo più lungimirante al comparto analizzando “il successo senza fronzoli” del suo marchio contrapposto all'incremento quasi incontrollato dei listini offerti da tutte le concorrenti. “Il nostro messaggio rivolto ai potenziali clienti è diverso”, dice il manager. “Signori, se volete un acquisto intelligente che vi consenta di risparmiare un po’ di soldi per tornare a viaggiare dopo due anni difficili per la pandemia, che vi permetta di seguire i vostri hobby o di pagare la borsa di studio a un figlio, noi siamo quello che fa per voi. E così avete portato a termine un acquisto non di serie B, ma intelligente”.

Tocci non si è nascosto dietro giri di parole. “Nelle nostre vetture non ci sarà mai il sedile regolabile elettricamente perché non è essenziale. Massima attenzione, invece, su tutti i temi della connettività perché se vuoi conquistare il target giovanile, compresi i trentenni nativi digitali, questi sono dei must. E poi il design è molto importante perché noi dobbiamo essere molto attenti ai prezzi, ma anche a linea e forme”.

                                                                                                               

Futuro

Parole che per certi versi potrebbero presto rivelarsi profetiche etichettando la rivoluzione innescata da Dacia come l'inizio di un cambiamento più ampio nel settore auto.

Perché se il binomio tecnologia-estetica abbinato a prezzi abbordabili dovesse prendere ulteriormente piede tra le nuove generazioni, l'Italia e il resto d'Europa diventerebbero a breve facile terreno di conquista per i costruttori cinesi e indiani, già da ora capaci di offrire ai propri mercati nazionali vetture di tutto rispetto.

E se fin da ora qualcuno dovesse storcere il naso all'idea di vedere nei prossimi anni sulle strade italiane city car o suv costruiti nelle periferie di Pechino o Nuova Delhi dovrebbe ricordare lo stesso scetticismo espresso da tanti qualche decennio fa, quando timidamente dalla Romania sbarcarono in Italia le prime brutte e minimaliste Dacia.

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