Lola Montes e Elena Melik, le grandi madri delle beauty influencer
Il mercato dei consigli di bellezza è più vivo che mai, ultima generazione di un’epopea cominciata nel 1885 col primo manuale della storiaPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Oggi l’oracolo preferito dalle ragazze è quello dei social. Da Instagram a TikTok, a YouTube, i consigli di bellezza sono dispensati dalle influencer, sempre più numerose e qualche volta pure molto qualificate, come La Cosmeticante (laureata in chimica), Miss Strawberry Fields (cosmetologa), e Beatrice Marini, laureata in chimica e specializzata in scienze cosmetiche.
Il mercato dei consigli beauty è più vivo che mai, ultima generazione di un’epopea cominciata nel 1885 con le ricette di bellezza di Lola Montes, il cui manuale di cosmesi - “L’arte della bellezza nella donna, segreti della toletta” - pubblicato a New York nel 1885, fu, nel settore, il primo grande successo editoriale della storia: sessantamila copie in poche settimane. Il primo grande best seller, anche se, occorre ricordare, il primo trattato di cosmetologia pubblicato in Occidente fu “Gli ornamenti delle donne”, scritto nel 1562 da Giovanni Mariniello, e già Ovidio consigliava la cerussa di Rodi per coprire le imperfezioni del viso, mentre nel Medioevo andarono alle stampe piccoli libri con i consigli su come tingersi i capelli di biondo.
«Le ricette che darò, per i diversi cosmetici e le lozioni, son quelle di cui si servono le belle eleganti delle varie capitali del mondo», scriveva Lola Montes. «E se piacesse a qualche signora fare uso di cotali ausiliari della bellezza, la consiglierei di essere la sua propria fabbricante, né solo per risparmiare ma per sicurezza sua, ché la maggior parte dei cosmetici privilegiati ebbero a rovinare le più belle carnagioni e a cagionare malattie della pelle e del sistema nervoso».
Contessa di Lansfeldt, famosissima attrice di madre cubana e padre irlandese, buona educazione in Inghilterra, vita avventurosa, Lola Montes dettò anche in Europa le regole della bellezza, nel secolo in cui i canoni estetici cambiarono radicalmente: via il trucco e l’imbellettamento eccessivo, cominciò a diffondersi la cultura di un corpo sodo e allenato, anche fra le donne. «Che darebbero», annotava, «tutta la loro fortuna per avere il largo petto e le braccia tornite della loro cuoca». E non a caso, come una Jane Fonda ante litteram, dedica un paio di capitoli all’argomento.
Da allora i libri di bellezza si sono sprecati e, non a caso, anche le prime riviste per signore - che fino agli anni Trenta del Novecento pubblicavano solo novelle - hanno cominciato a dedicare un piccolo spazio ai consigli di dieta e ginnastica. Spazio che via via si è allargato, tanto che le redazioni dei mensili e dei settimanali femminili hanno un intero reparto che si occupa solo di bellezza, anche perché il settanta per cento delle pagine pubblicitarie vengono acquistate dall’industria cosmetica.
Dagli Egizi - che 3500 anni fa usavano l’antimonio come bistro per truccare gli occhi - ai giorni nostri, c’è sempre la stessa illusione, dietro; a cambiare, invece, è solo la durata di una moda, di un canone estetico. Che, se per i Greci e poi per i Romani è stato uno solo e pure generico (la proporzione delle forme, dal Medioevo in poi cominciò a mutare ogni due secoli, fino al Novecento - con le maschiette degli Anni Venti, le pallide vamp dei Trenta, le spalle larghe dei Quaranta, il seno prorompente dei Cinquanta eccetera, di dieci in dieci. Oggi l’ideale estetico è un concetto basculante con tre soli punti fermi: la magrezza, il corpo tonico e l’abbronzatura.
In Italia l’autorità è stata fino agli inizi dei Duemila Elena Melik, classe 1919, russa di origini armene. Entrata nel ’42 come stenodattilografa alla Mondadori, nel 1948 cominciò a firmare una rubrica sul settimanale Grazia, “La posta di Elena”, con i consigli su dieta, trucco e ginnastica. Una rubrica seguitissima, da lei curata fino alla morte avvenuta nel 2009. Quelli dell’esordio erano tempi in cui la signora della cosmesi, così veniva chiamata, rispondendo alle lettere delle lettrici raccomandava l’uso quotidiano dell’acqua e della saponetta, fino a diventare – col trascorrere dei decenni e con l’evoluzione della cosmesi e del concetto di benessere – la giornalista più esperta in tema di liposuzione, creme contro i radicali liberi, massaggio thailandese e ogni altra moderna diavoleria di bellezza. Un’autorità riconosciuta, amica personale di Helena Rubinstein, che quando arrivava in Italia parlava solo con lei, «perché», diceva, «è l’unica che capisce di bellezza». Un riconoscimento, una consacrazione pari a quella che fu un secolo prima per Lola Montes lo strepitoso successo di vendite del suo manuale.
È stato, questo, un libro sacro fino ai primi del Novecento, diviso in ventisei capitoli tra i quali La bellezza del seno, I mezzi per una bella capigliatura, Per togliere e prevenire le rughe, Come levare i peli. Per le rughe la contessa consigliava suffumigi di mirra, l’igiene per una bella pelle, impacchi di allume per il seno, pece per strappare i peli. Tutti rimedi naturali, l’autrice consigliava alle sue lettrici di fare da sé lozioni e unguenti, «che valgono assai più delle costose misture privilegiate in commercio». Metteva in guardia le lettrici, anche perché la cronaca di quel tempo raccontava tutti i giorni storie di ragazze rimaste ustionate da ritrovati miracolosi. Senza contare le truffe, come quella - 1880, in Inghilterra - che portò alla denuncia del produttore di una lozione per migliorare la carnagione al costo di nove lire e trentacinque centesimi. A processo si scoprì quali erano gli ingredienti e il prezzo di costo: 46 grammi di mandorle amare, 8 grammi di sublimato corrosivo, acqua, la bottiglia del valore di 60 centesimi. Ottanta centesimi in tutto. Un profitto del 1700 per cento, il produttore fu condannato.
Altro caso giudiziario famosissimo fu quello che costò una condanna all’inventore della lignum lotion, un unguento spacciato come miracoloso e altro non era che sale ammoniacale in acqua: un valore reale di sette soldi la pinta, venduto a sei lire la confezione.