E' stato uno dei primi artisti sardi a scoprire le potenzialità della fotografia digitale. Per anni si è divertito a manipolare e stravolgere le immagini. Ha avviato una ricerca che continua ancora oggi. Mario Pischedda ha 73 anni e la curiosità di un adolescente. Insegnante in pensione, videomaker, poeta, scrittore, giornalista (ha collaborato con L'Unione Sarda e Frigidaire), editore di se stesso, inventore del “baratto culturale”, visionario quanto basta (e anche di più), provocatore e fotografo decisamente fuori dagli schemi. Per quanto sia un grande appassionato di tecnologia, va in giro con una fotocamera compatta. La utilizza per scattare e fare i filmati che poi pubblica sui social.

«Per fotografare basta un telefonino – dice – l'importanza del mezzo è relativa. La fotografia è nel cervello del fotografo. Se non hai inventiva puoi anche avere la macchina fotografica più bella del mondo, ma non ti serve a niente».

Il baratto culturale

Da qualche anno Mario Pischedda alla vigilia di Natale pubblica quella che chiama la “strenna di fine anno”. Di solito un libro con i suoi scritti e sempre con qualche dettaglio particolare, come la copertina ricoperta di chiodi che perforano anche le pagine. «Si tratta di opere autoprodotte destinate ad altri produttori. Sì, proprio così. Dal produttore al produttore e non ai consumatori». Per Mario Pischedda la parola d'ordine è “condividere”. Con la fotografia da qualche anno porta aventi un curioso esperimento. Lo chiama “pazz/l”, un modo bizzarro per indicare con una sola parola la sua follia creativa e la capacità di mettere in ordine tutte le parti di un'immagine fatta a pezzi. L'esperimento, portato a termine a che da scrive questo articolo, consiste nel ricostruire un fotografia di Mario Pischedda. «In questo modo  - dice l'artista di Bortigiadas, ma residente a Tempio - chi completa il puzzle viene coinvolto e condivide con me questo scatto».

Qualche mese fa Alfredo Accatino, uno dei più grandi creativi italiani nel libro “Outsid3rs” (terzo volume di una collana pubblicata da Giunti) ha dedicato un capitolo proprio a Mario Pischedda, che in questo modo entra “ufficialmente” nella grandi famiglia degli artisti in qualche modo geniali, ma poco conosciuti. «Non è sempre “sopra le righe” - scrive Accatino – pronto a lanciarsi in una qualunque avventura si abbia il coraggio di proporgli. E' un fotografo solido. Te ne accorgi dagli scatti dedicati ai “Tuffi” che replica da anni (istantanee irripetibili) o dalla straordinaria serie “Nocturnal walks”, che produce di notte bloccando le luci con un tempo di esposizione lento. Paesaggi astratti, amati dal grande fotografo Franco Fontana, amico e maestro, che gioca spesso con lui con rimandi fotografici. Un provocatore, infine, che considera l'opera d'arte meno importante del suo duplicato, tanto da obbligarmi a distruggerle, ogni volta che me ne regala una, e a documentarne l'atto».

Alfredo Accatino ricorda anche un'altra operazione editoriale anomala. Lo scorso anno Mario Pischedda non si è limitato a barattare la “strenna natalizia”, ma ha pagato il lettore che poi ha acquistato il suo libro: «A Tempio è pieno di romanzieri, scrivono tutti, ma scarseggiano i lettori. Accade anche nel mondo della fotografia. Oggi tutti possono fotografare. Ma vedo in giro tante cose inutili, gente priva di cultura. Troppa accademia. Immagini tutte uguali».

Lo scoop mancato

Nel dicembre del 1979, il giorno della liberazione di Fabrizio De André (sequestrato con la compagna Dori Ghezzi il 27 agosto dello stesso anno) tanti fotografi cercarono di raggiungere Portobello di Gallura, dove c’era la casa del cantautore genovese. C’era anche Mario Pischedda con la sua reflex. «Avevo una macchina fotografica Zenith – ricorda l’artista di Bortigiadas – una volta davanti alla casa di De Andrè iniziai a scattare. Qualche ora dopo tornai a casa per sviluppare il rullino. In quel periodo facevo tutto da solo. Purtroppo, non so per quale ragione, quando controllai il negativo c’era soltanto una lunga striscia bianca. Niente foto. Niente stampa e niente scoop. Se avessi avuto un fotocamera digitale sicuramente questo non sarebbe accaduto. Pazienza».

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