Le mille attrattive dell’orto botanico universitario di Padova, il più antico del mondo
Da quasi cinque secoli l’oasi raccoglie piante da tutti i continenti, dal 1997 è patrimonio dell’UnescoPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Quasi cinque secoli di storia, seimila piante da ammirare, il riconoscimento Unesco come patrimonio dell’umanità. L’orto botanico universitario di Padova è il più antico al mondo. Un gioiello verde impreziosito dal giardino della biodiversità e dal museo botanico con la galleria degli erbari e la spezieria inaugurati nel 2023, custode anche di tanti simbolici messaggi di pace che spuntano tra grandi attrattive. Per esempio, il platano orientale messo a dimora nel 1680, riconoscibile facilmente dalla cavità nel fusto forse dovuta a un fulmine, è “albero della pace” come riporta una targa con le parole di Sri Chinmoy, fondatore della Peace run: “Il seme della pace deve essere seminato nel cuore. Solo così crescerà nel corpo della vita umana”. Il messaggio è messo lì dal 2012 e in tempi bui segnati da guerre e conflittualità crescenti rivela più che mai la forza dell’attualità. Succede anche in un altro angolo dell’orto botanico dove il 28 maggio 2016 viene interrata una “capsula del tempo” con messaggi di pace e semi citati nel Deuteronomio consegnati dai partecipanti al concerto “Seeds of peace di pace e dialogo tra le religioni”. La riapertura il 28 maggio 2026. Sono alcune delle mille sorprese che regala questo scampolo verde nato nel 1545 e disegnato a forma di quadrato inscritto in un cerchio.
Tutto inizia il 29 giugno del 1545 quando il Senato della Repubblica di Venezia istituisce con un decreto l’Horto medicinale o Hortus simplicium, in un terreno di proprietà dei monaci benedettini di Santa Giustina, a un passo dalla basilica di Sant’Antonio, a Padova. Al tempo c’è grande attenzione agli studi medici e botanici tanto da spingere l’università di Padova a istituire nel 1533 una cattedra ad hoc. Le piante medicinali sono riferimento ricorrente. In questo contesto si pone l’esigenza di promuovere la conoscenza diretta da parte degli studenti delle piante riportate nei libri, con un approccio più sperimentale che teorico. Nasce così un laboratorio a cielo aperto che diventa l’orto botanico universitario più antico al mondo. Si conserva nel sito originale e racconta da subito lo stretto legame tra botanica, medicina e farmacopea. A disposizione un’area di due ettari, destinata alla coltivazione per fini didattici e scientifici delle piante medicinali indigene ed esotiche.
L’oasi si adegua nel tempo a nuove esigenze e diventa importante centro per la conservazione e la ricerca botanica, arricchita da giardini, serre, spezieria, erbario. E poi dal museo che custodisce 16 mila provette con semi di piante ornamentali e alimentari. Un archivio della biodiversità, alimentato dai frequenti scambi con altri orti botanici del mondo, dove spicca un seme di 25 chili, ovvero quello di una palma che cresce solo in alcune isole delle Seychelles. Il complesso deve anche fare i conti con l’approvvigionamento idrico che segue l’evolversi delle conoscenze scientifiche e tecniche fino alla scelta di raccogliere l’acqua piovana con un sistema moderno introdotto nel giardino della biodiversità aperto nel 2014. Nel 1997, è incoronato dall’Unesco e inserito nel patrimonio mondiale. La motivazione: «È all’origine di tutti gli orti botanici del mondo e rappresenta la culla della scienza, degli scambi scientifici e della comprensione delle relazioni tra la natura e la cultura».
Lungo i viali le curiosità abbondano. Imperdibile la palma di Goethe, cosiddetta perché ispirò al poeta tedesco la teoria naturalistica riportata nell’opera “La metamorfosi delle piante”. È la decana dell’orto botanico, alta ben 12 metri e messa a dimora nel lontano 1585. Questa palma nana diventa la star dell’oasi quando il 27 settembre 1786 Goethe, nel suo viaggio in Italia, ne resta molto colpito al punto da suggerirgli l’idea della metamorfosi nel mondo vegetale. Con i suoi primati ora la palma è il simbolo dell’oasi.
Di tutto rispetto, sebbene meno longevi, il ginkgo messo a dimora nel 1750 (un esemplare maschile su cui nell’Ottocento è stato innestato un ramo femminile), una magnolia del 1786, tra le più antiche d’Europa, il primo cedro dell’Himalaya importato in Italia, nel 1828. E poi ci sono altre primizie, come patata, sesamo, lillà e girasole. Prima della loro diffusione su vasta scala in Italia e in Europa, hanno trovato posto nell’orto botanico di Padova. Passeggiando tra angoli suggestivi si può scoprire una ricca varietà di serre: la tropicale che contiene più della metà della biodiversità mondiale, la tropicale sub-umida con la vegetazione della foresta monsonica e della savana, la temperata, la mediterranea e quella arida. Inaugurate nel 2014, propongono un viaggio nelle zone climatiche del mondo. Un modo per allargare i confini della botanica e abbracciare quelli della storia, anche attuale.