Nel 2020 il traguardo è stato raggiunto il 22 agosto; nel 2021 il 29 luglio; in questo 2022 il 28 luglio. Ogni 12 mesi si assiste a un costante passo indietro, a una regressione che anticipa con angosciante regolarità l’esaurimento delle risorse naturali messe a disposizione ogni anno dalla Terra. Una linea di confine chiamata “Overshoot Day” superata la quale si comincia a erodere le scorte che il nostro pianeta è in grado di offrire normalmente ai suoi abitanti. Principalmente il genere umano, maggiore fruitore di beni spesso sprecati e sempre più scarsi, tanto che di questo passo questa nostra piccola casa in viaggio nel cosmo diventerà un limone spremuto non più in grado di sostenere la vita.

I numeri dell’abisso

I consumi crescono e non è alle viste una possibile soluzione. Forse non c’è, tenuto conto che l’ultimo pareggio (equilibrio tra risorse disponibili e sfruttate) risale al 1969. A oggi sarebbe necessario avere a portata di mano quasi un altro mondo come il nostro per ottenere il medesimo risultato, e unicamente tenendo in conto la media globale: perché i numeri riguardanti i soli Paesi più sviluppati sono ben peggiori. Giusto per fare un esempio, l’Italia quest’anno ha esaurito le scorte addirittura il 15 maggio. Ma ben peggio hanno fatto tra gli altri Qatar (10 febbraio), Lussemburgo (14 febbraio), Bahrain (il 12 marzo), Canada, Usa ed Emirati Arabi (13 marzo), Estonia (14 marzo), Kuwait (15 marzo), Trinidad e Tobago (19 marzo) Mongolia (21 marzo), addirittura Danimarca (28 marzo) e Finlandia (31 marzo).

Una coltivazione intensiva in Brasile (Archivio)
Una coltivazione intensiva in Brasile (Archivio)
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Che la situazione sia in costante peggioramento è dimostrato dall’andamento pluridecennale della curva dei consumi. Dai 365 giorni necessari nel 1969 e 1970 a consumare tutte le scorte (con il pianeta dunque autosufficiente) si è passati ai 344 del 1972 e ai 333 del 1975, ai 302 del 1986 e ai 295 del 1987. Un incremento costante dello sfruttamento delle risorse con una contestuale anticipazione del loro esaurimento, tanto che si è arrivati a toccare quota 260 giorni nel 2002 e 214 nel 2012 sino a oggi, con il traguardo tagliato quando ancora mancano 208 giorni alla fine dell’anno. Un brusco risveglio dal miglioramento registrato nel 2020, legato però all’esplosione della pandemia e alla conseguente riduzione dei consumi dovuta ai periodi di chiusura imposti in tutto il mondo.

Operai al lavoro in un'industria metallurgica (Archivio)
Operai al lavoro in un'industria metallurgica (Archivio)
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Consumi superiori alle scorte

L’anno peggiore sinora è stato il 2018, con le scorte finite il 25 luglio. Siamo di nuovo lì. Oggi servono 1,75 Terre per soddisfare i bisogni dei suoi inquilini. Un calcolo basato sulla capacità del pianeta di sostenere la vita chiamata “biocapacità” e misurata in ettari globali medi (gha). Il nostro piccolo condominio spaziale ha una biocapacità di 1,6 gha a fronte dei 2,7 dell’intera umanità, che dunque deve ridurre del 41 per cento il proprio impatto per ripristinare l’equilibrio indispensabile per sopravvivere. L’Italia a sua volta ha un’impronta ecologica di 4,5 gha pro capite a fronte di un territorio con una biocapacità di 0,9 gha, quindi servirebbe uno Stivale vasto cinque volte il nostro per consentirci di vivere come oggi. Con la consapevolezza di dover abbattere di oltre il 70 per cento la nostra impronta sullo sfruttamento per rientrare nei limiti naturali.

L'industria è causa di forte inquinamento (Archivio)
L'industria è causa di forte inquinamento (Archivio)
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Al deficit planetario contribuiscono l’abnorme numero di abitanti (ormai 8 miliardi), le emissioni di gas serra, lo sfruttamento e la scarsa tutela dei territori. Uno studio del “Global footprint network”, organizzazione indipendente senza fini di lucro nata nel 2003 e che ha sede nei territori dei tre Paesi fondatori (Stati Uniti, Belgio e in Svizzera), stima in circa 3 i miliardi di persone che vivono in Stati dove si consuma più cibo di quel che si riesce a produrre; mentre, risultato contrario, ci sono Paesi che dipendono in grandissima misura sulle importazioni ma hanno difficoltà a soddisfare le richieste interne. Così molte popolazioni sono a rischio sopravvivenza, principalmente in Africa e Asia. Nel complesso sarebbero quasi sei miliardi gli uomini e le donne che ottengono più di quel che il loro Paese può offrire.

Pale eoliche per produrre energia alternativa (Archivio)
Pale eoliche per produrre energia alternativa (Archivio)
Pale eoliche per produrre energia alternativa (Archivio)

Le possibili alternative

Allora, sostiene lo studio, oggi ci sarebbe bisogno di almeno 19 anni senza consumi perché il pianeta si rigeneri. Impossibile. Dunque è necessario trovare altre strade, prima che l’Uomo distrugga sé stesso esaurendo ogni risorsa (nel caso non arrivi prima un ordigno nucleare a metter fine alla propria esistenza: non si dubiti sulla capacità della nostra specie di stupire chiunque, anche sé stessa). Per esempio, ipotizza il Global footprint network, eliminare gli sprechi alimentari: forse è banale dirlo, certamente è difficile farlo. Eppure anche solo dimezzare i consumi inutili pare sposterebbe di 13 giorni in avanti la data del sovrasfruttamento. Ricorrere alla mobilità alternativa, elettrica o comunque (come la bici) priva del classico carburante inquinante, allontanerebbe il traguardo di altri dieci giorni; utilizzare l’energia alternativa (pale eoliche e pannelli fotovoltaici) raggiungendo una produzione mondiale del 75 per cento, di ulteriori 26; rendere le case più “smart”, quindi più tecnologiche e moderne sotto tutti i profili (compresa la climatizzazione e la coibentazione), sposterebbe la linea in avanti di 21 giorni; sarebbe utile anche rendere più efficiente la filiera alimentare.

L’alternativa è avere a disposizione un’altra Terra. Che però non c’è. Il futuro è oscuro.

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