Siamo sicuri che le manovre della Bce e della Fed portino realmente miglioramenti nel sistema economico? A guardare la reazione delle Borse dopo le ultime manovre delle autorità monetarie di Europa e Stati Uniti la risposta può essere affermativa, almeno parzialmente. Soprattutto perché la Banca centrale europea ha deciso di fare marcia indietro dopo aver dato l’impressione solo di voler intervenire sui tassi d’interesse, varando invece una sorta di scudo per difendere i titoli di Stato e cercare di riportare inflazione e spread a livelli accettabili.

Per la Fed, invece, l’aumento dello 0,75% dei tassi d’interesse è apparsa quasi una scelta obbligata, vista la situazione economica degli Usa, dove un’inflazione così forte (la stima per il 2022 è superiore al 5%) non si vedeva da quarant’anni, quando venne messa in campo proprio per bloccare il rialzo dei prezzi.

La situazione attuale

L’aumento dell’inflazione sta mettendo a dura prova la nostra economia e soprattutto i conti delle famiglie alle prese con rincari che non si vedevano da oltre vent’anni. E così, dopo anni di tassi bassi e liquidità messa in circolo, le autorità monetarie stanno intervenendo con un rialzo del tasso d’interesse per cercare di contenere l’inflazione. Il punto è però stabilire da cosa è stato determinato l’aumento dei prezzi: si tratta di un fatto legato esclusivamente all’incremento di liquidità oppure sono stati fattori endogeni al sistema monetario a determinare questa situazione?

Secondo il consigliere economico di Palazzo Chigi Francesco Giavazzi, le decisioni prese dalla Bce non ridurranno l’inflazione, proprio perché quest’ultima è stata determinata da questioni non legate alla domanda e all’eccesso di liquidità. “Lo spread e l’aumento dei tassi d’interesse ridurranno non subito, ma tra qualche mese, la domanda privata”, ha spiegato nei giorni scorsi Giavazzi. Per l’economista, dunque, la risposta della Bce non è quella giusta: “La Bce promette di alzare i tassi per rispondere all’aumento dell’inflazione con uno strumento sbagliato – ha osservato – noi non abbiamo un’inflazione da domanda come negli Usa ma un’inflazione legata al prezzo del gas. Quindi a fronte di una riduzione della domanda privata dei prossimi mesi dobbiamo accelerare il Pnrr”. Alla luce del direttivo straordinario della Bce, tuttavia, le cose sembra che stiano cambiando.

L’analisi

In sostanza tra Usa e Vecchio Continente ci sono differenze sostanziali. In Europa il problema maggiore in questo momento è rappresentato dall’aumento del prezzo del gas e del petrolio, combustibili primari utilizzati per la mobilità, l’energia elettrica e quella termica. Un incremento provocato sostanzialmente dalla guerra in Ucraina e dalle sanzioni imposte alla Russia, anche se i rialzi erano già partiti già prima del conflitto a causa delle scelte proprio della Russia e continueranno visto che il colosso russo Gazprom ha annunciato che ridurrà del 15% le forniture all’Italia. Con l’aumento del prezzo del gas e del petrolio, vista la penuria che si sta venendo a creare in Europa a causa della stretta sulle forniture russe, si hanno ricadute evidenti in tutte le filiere produttive: dall’agricoltura, che deve fare i conti anche con la carenza di sementi e concimi, alla manifattura, dove si spende di più per l’energia elettrica, fino alla logistica, dove il caro-carburante fa salire i costi dei trasporti.

Il bonus

I duecento euro una tantum dati alle famiglie dal Governo Draghi, dunque, servono senza dubbio nel non far flettere i consumi, ma non sono una soluzione stabile. Per cui tra qualche mese tra prezzo dell’energia alle stelle e rincari sui prodotti saremo punto e a capo.

E l’aumento dei tassi d’interesse cosa provoca? Gli effetti si manifestano su due fronti: uno pubblico e uno che interessa maggiormente l’economia delle famiglie e delle aziende. Per quanto riguarda la parte pubblica, di riflesso, già nei giorni scorsi abbiamo assistito all’aumento dei tassi d’interesse applicati all’emissione dei titoli di Stato per finanziare il debito del Paese. Come si è visto lo spread ha ricominciato a salire e uno studio dell’Ufficio parlamentare di bilancio ha spiegato che nel 2023 lo spread costerà 2,3 miliardi di euro in più alle casse statali, mentre nel 2024 questa spesa crescerà di 6,7 miliardi. Quindi gli italiani dovranno pagare di più, il che significa aumentare le tasse oppure incrementare il Pil, quindi cercare di sostenere una maggiore crescita economica per evitare di dover innalzare l’imposizione fiscale. Per fortuna, la Bce ha deciso di intervenire varando in sostanza un programma di reinvestimento dei fondi derivanti dai massicci acquisti dei titoli di Stato degli ultimi anni.

Per quanto riguarda, invece, le famiglie e le piccole imprese, l’aumento dei tassi d’interesse si tradurrà in un maggiore costo per sostenere gli investimenti oppure finanziare ad esempio l’acquisto di una casa con un mutuo. Quindi le aziende investiranno per espandere la loro attività soltanto se avranno risparmi da parte, altrimenti tutto si ferma o rallenta per la necessità di finanziare la spesa corrente, ossia i consumi che peraltro costano di più.

I rimedi

Non è solo Francesco Giavazzi, tuttavia, a pensare che l’aumento dei tassi d’interesse riduca, anche se non subito, la domanda privata. La storica dell’economia Dirdre McCloskey, docente e fellow all’Erasmus Forum di Londra, ha recentemente rilasciato alcune interviste in cui spiega che la politica monetaria non può risolvere tutti i problemi e le armi di Fed e Bce sono spuntate se non accompagnate da politiche economiche adeguate sul fronte governativo. Secondo la docente, l’inflazione oggi è determinata non da un surplus di moneta stampata come accaduto negli anni Settanta ma dalla disponibilità di beni. I prezzi relativi cambiano in continuazione proprio sulla base della disponibilità di un bene. Quindi non bisogna, sostiene la McCloskey, distribuire bonus o intervenire sui tassi, ma aumentare la disponibilità di un bene. Almeno in questo caso.

La stessa cosa, in un certo qual modo, la afferma il consulente del Governo Draghi, Francesco Giavazzi, quando dice che l’inflazione in Europa la si ferma riducendo il prezzo del gas. Quindi non solo un tetto al prezzo, misura già allo studio in Europa, ma il suggerimento di Giavazzi è di utilizzare anche i fondi del Pnrr per investire su una politica energetica che riduca i costi senza aumentare il debito pubblico. Non solo, il Pnrr potrà incrementare la domanda pubblica, funzionando da stimolo a quella privata. I soldi ci sono, bisogna metterli in circolo in fretta per produrre di più nella vecchia Europa quei beni, dall’energia alle materie prime, che invece venivano importate dall’esterno. Solo così si ridurrà l’inflazione.

© Riproduzione riservata