Fu scandalo perché in un’Italia ipocrita, divisa tra il clericalismo e la rivoluzione dei costumi post ’68, al sesso si poteva magari alludere anche in maniera evidente (come nei varietà della Rai), ma non se ne poteva parlare apertamente. Fu scandalo anche perché, se non soprattutto, si facevano parlare di certe questioni i preti, ma senza che ne fossero consapevoli. Cinquant’anni fa, tra le notizie tragiche degli omicidi a sfondo politico e quelle sull’ennesima crisi di governo, le cronache dei quotidiani diedero ampio risolto a un processo per certi versi minore, ma importante per i costumi del Paese: quello agli autori di “Il sesso in confessionale”, il libro che aveva raccontato come i sacerdoti trattavano, durante la confessione, chi si accusava di peccati commessi sotto le lenzuola.

Norberto Valentini e Clara Di Meglio, i due giornalisti che firmavano il volume, avevano avuto un’idea sacrilega e geniale. Fingendosi normali fedeli in cerca del perdono divino, per lungo tempo frequentarono le parrocchie di tutta Italia chiedendo ai sacerdoti di confessarli; ogni volta però nascondevano tra i vestiti un piccolo registratore. Avevano così fissato sul nastro le conversazioni in cui, al prete di turno, raccontavano peccati di tipo sessuale: dai rapporti prematrimoniali alle avventure adulterine, o ancora – come recitava la copertina del volume, edito da Marsilio – “i giochi d’amore tra coniugi, l’auto eccitazione e il controllo delle nascite”.

L’Italia post ’68

Alla fine l’inchiesta sul campo aveva prodotto oltre seicento registrazioni di colloqui nel confessionale, anche se poi nel libro ne vennero riportati circa 120. Era il 1973, l’influenza della Chiesa cattolica su ogni aspetto del vivere civile – politica compresa – era ancora molto forte. Il divorzio era stato introdotto nel diritto italiano appena tre anni prima, e sembrava ancora una conquista effimera, perché la Democrazia Cristiana stava lanciando la campagna per il referendum abrogativo che poi si terrà nel 1974 (e che confermerà la possibilità di sciogliere il matrimonio). La ventata di modernità ecclesiale impressa dal Concilio Vaticano II, che addirittura aveva anticipato le ribellioni sessantottesche, stentava ancora ad affermarsi pienamente, e il terreno dei costumi sessuali era uno dei più accidentati.

Quello che emergeva dal lavoro di Valentini e Di Meglio era soprattutto la grande confusione in cui annaspavano, su queste tematiche, i ministri del culto romano. Le reazioni dei preti oscillavano tra la comprensione paterna e la severità scandalizzata, passando per alcuni picchi di curiosità morbosa che oggi più che altro fanno sorridere, e forse anche allora. Come nel caso della confessione di Clara Di Meglio in una chiesa napoletana, col sacerdote che insisteva per conoscere dettagli intimi (“ma tuo marito, baci te ne dà? E sono affettuosi o lascivi?”), con la scusa che “devi spiegare bene al tuo confessore, mettermi in grado di capire. Perché certi atti possono essere peccato o possono non esserlo”.

Le reazioni: il Vaticano e i magistrati

Logico che la Chiesa non potesse accettare di buon grado una simile operazione, che infatti fu duramente contestata dai vescovi italiani e dall’Osservatore Romano. Il libro suscitò grande clamore e i due autori furono persino scomunicati dal Vaticano: anche perché, accostandosi al sacramento della riconciliazione con un secondo fine ben lontano da quello proprio, tecnicamente avevano commesso più volte un sacrilegio.

La prima pagina dell'Unione Sarda con la notizia del processo ai due autori
La prima pagina dell'Unione Sarda con la notizia del processo ai due autori
La prima pagina dell'Unione Sarda con la notizia del processo ai due autori

Ma contro Di Meglio e Valentini si mosse anche la giustizia secolare: la Procura di Padova, competente perché era la città sede della casa editrice, avviò un procedimento penale per vilipendio della religione di Stato. La primavera e l’estate del 1973 furono così caratterizzate dalle udienze in cui i due giornalisti dovevano difendersi da accuse che potevano portare a una condanna fino a un anno di reclusione. “Non volevamo suscitare scandalo o dar vita a operazioni commerciali”, si difesero gli autori, definendosi tra l’altro cattolici, “ma solo andare alla ricerca dei motivi che hanno portato alla crisi della confessione, e all’impossibilità del dialogo tra il sacerdote e il cristiano”.

La politica nel confessionale

Alla fine il processo penale non arrivò a niente, e Valentini l’anno dopo poté così utilizzare la stessa tecnica del registratore nascosto per un altro volume, “La politica in confessionale”, in cui di volta in volta raccontava ai preti se stesso come un estremista di destra o di sinistra, oppure si accusava di peccati come evasioni fiscali, speculazioni, raccomandazioni e altro ancora. A dimostrazione di come il vero scandalo scaturisse dalla tematica sessuale, più che dal metodo, stavolta le reazioni furono assai più contenute. Nel frattempo però dal volume sul sesso in confessionale era stato tratto un film, con regia di Vittorio De Sisti e musiche di Ennio Morricone, che era subito caduto sotto la scure della censura per l’ordine di ritiro dalle sale disposto da un pubblico ministero ultracattolico.

Vent’anni dopo il libro scandalo di Valentini e Di Meglio, lo stesso metodo verrà adottato da Giordano Bruno Guerri per un’inchiesta sul campo sintetizzata poi nel volume “Io ti assolvo”, sottotitolo “Etica, politica, sesso: i confessori di fronte a vecchi e nuovi peccati”. Ma ormai, in un’Italia abbondantemente secolarizzata, anche la raccolta di confessioni prestate fittiziamente non avrà più la capacità di sconvolgere le coscienze e di interrogare profondamente l’etica dei credenti e dei laici.

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