Aveva quel tipo di voce che, quando cantava “that’s all right” (va tutto bene), eri disposto a credergli. Ma portava nell’animo un dolore lontano, che forse neanche lui sapeva spiegare, e che in qualche modo lo ha sconfitto. La fine prematura di una star della musica non è purtroppo così rara, ma nell’ampia e arcinota casistica (morti per droga, suicidi, incidenti stradali e persino con l’aereo, come Buddy Holly) a Marvin Gaye spetta il triste record della tragedia più originale: ucciso dal padre, a colpi di pistola, alla vigilia del suo compleanno. Con un’arma che lui stesso aveva regalato al genitore, il Natale precedente.

Accadde quarant’anni fa, il primo aprile del 1984. L’esito fatale di una lite, dissero le cronache. Sì, una lite iniziata alcuni decenni prima: il tormentato rapporto col padre, un pastore della chiesa cristiana pentecostale della Casa di Dio, è probabilmente alla radice sia della grandezza artistica di Gaye, che delle sue difficoltà esistenziali.

Il declino e la risalita

Passato attraverso un successo folgorante, una fase di declino prematuro e una resurrezione straordinaria, Marvin nel 1984 era di nuovo all’apice della sua carriera: l’anno precedente si era aggiudicato per la prima volta due Grammy Awards (l’equivalente musicale dei premi Oscar) con “Sexual healing”, uno dei brani più fortunati storia della musica soul e R&B. Ma questo non aveva curato il suo male di vivere. Secondo chi gli era vicino, aveva una più o meno consapevole inclinazione suicida. Un suo biografo, Steve Turner, disse che “la sua vita era in uno stato disastroso: tutte le prove che ho trovato dicono che Marvin provocò quell’incidente perché sapeva quale sarebbe stato il risultato”. Una testimonianza di sua sorella Jeanne affidata a un altro biografo, David Ritz, rivela che addirittura il cantante aveva tentato di uccidersi quattro giorni prima della sua morte, saltando giù da un'auto in corsa, ma senza farsi granché. “Non c’erano dubbi che Marvin volesse morire”, ha detto ancora Jeanne, che ha visto nel tragico epilogo della vita di suo fratello quasi un “suicidio premeditato”, anche perché inducendo suo padre ad ammazzarlo sapeva di centrare tre obiettivi: “Porre fine alla sua disperazione, dare sollievo a nostra madre allontanando il marito da lei, e punire nostro padre assicurandosi che il resto della sua vita sarebbe stato infelice. Mio fratello sapeva cosa stava facendo”.

Chissà: di certo, oltre ad aver regalato lui stesso al padre l’arma del delitto, un altro dettaglio rende la vicenda ancora più grottesca e quasi pirandelliana: l’artista fu in effetti ucciso da… Marvin Gay, perché questo era il nome di suo padre. Alla sua nascita, il 2 aprile 1939, il futuro re del soul era stato battezzato Marvin Pentz Gay Junior. La “e” finale al cognome venne aggiunta dal giovane Marvin dopo i primissimi passi nel mondo della musica. E anche il motivo di questa piccola correzione si intreccia al rapporto conflittuale col padre.

Probabilmente, infatti, quella “e” in più serviva a distinguersi dal genitore omonimo, e anche a non far coincidere il proprio cognome con la parola che in inglese significa omosessuale. Qualcuno ha messo in relazione questa volontà di Marvin Jr. col fatto che il padre fosse un cross-dresser: cioè un uomo che amava, talvolta, indossare vestiti da donna. Nel suo ministero religioso e anche nell’educazione familiare il signor Gay Sr. esprimeva invece un atteggiamento molto tradizionalista e severo: fino agli anni dell’adolescenza Marvin Gaye fu spesso picchiato, anche con bastoni e cinture. “Era come vivere con un re”, avrebbe raccontato lui tempo dopo: “Un re molto bizzarro, mutevole, crudele e onnipotente”.

Un rapporto tormentato

Eppure anche la scoperta del suo talento per la musica si deve al padre, perché il piccolo Marvin fin dall’età di quattro anni iniziò a cantare alle funzioni religiose guidate da Marvin Sr., che lo accompagnava al pianoforte. Poi però l’adulto non riuscì ad accettare che il figlio uscisse dalla sua ombra per seguire la propria vocazione artistica, soffrendone il successo quasi in maniera competitiva. Anche perché quel ragazzo cantava l’amore spensierato degli anni Sessanta, diventando un sex symbol agli occhi dell’America, ma un peccatore agli occhi di chi l’aveva educato in maniera così rigida.

Gaye in realtà era tutt’altro che spensierato. Mentre cantava hit immortali come “Your precious love”, “Ain’t no mountain high enough”, “How sweet it is”, “I heard it through the grapevine” e molte altre, la sua anima si perdeva nei sentieri della depressione. Alle difficoltà dei rapporti con la famiglia d’origine si aggiunsero altri tristi eventi personali: anzitutto la crisi con la moglie Anna Gordy, sposata a 24 anni, da cui separarsi non era semplice non solo per le implicazioni affettive, ma anche perché era la sorella di Barry Gordy, fondatore della Motown, la mitica etichetta della black music che produceva i dischi di Gaye. E poi nel 1970 arrivò la morte, per un tumore al cervello, di Tammi Terrell, sua abituale compagna sul palco e in sala d’incisione; il male si era manifestato tre anni prima proprio durante una loro esibizione, e lei era svenuta sul palco tra le sue braccia.

La copertina di "What's going on", album del 1971
La copertina di "What's going on", album del 1971

La copertina di "What's going on", album del 1971

La reazione a queste difficoltà fu all’insegna, in qualche modo, di un cambiamento di prospettiva. Gaye cercò persino di diventare un giocatore di football professionista, sostenendo una specie di provino con i Detroit Lions grazie alla sua amicizia col coach e due giocatori, ma a 31 anni era impensabile avviare una carriera in uno sport così duro. La grande svolta però fu musicale: la sua sensibilità lo condusse a portare il soul nei terreni del concept album e dell’impegno sociale, fin lì battuti da altri generi, e con “What’s going on” trattò temi come il Vietnam, la droga, le questioni razziali e vari altri problemi della società americana.

Un coraggio premiato ancora una volta dal successo, ma nella seconda metà degli anni Settanta invece il suo tocco magico sembrò scomparire. Lo ghermì la depressione, favorita dall’abuso di cocaina. Aveva da poco ritrovato l’antica scintilla, componendo durante un lungo soggiorno in Belgio l’album “Midnight love” con la già citata “Sexual healing”, quando la sua vita giunse bruscamente al termine, a Los Angeles, dove si era riunito coi suoi genitori. Dopo l’omicidio, il padre disse di aver agito per legittima difesa e patteggiò sei anni di carcere, ma con sospensione della pena, e cinque di libertà vigilata. Morì di polmonite, nel 1998, a 84 anni. Il figlio, anche grazie al suo atto folle e crudele, era ormai entrato nel mito.

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